L’opera di T. Boulmetis ha degnamente chiuso la terza giornata di un festival che sembra aver acquistato, con la quinta edizione, l’originario mordente. Nonostante investimenti neanche lontanamente confrontabili con i budget su cui contano le rassegne più blasonate, e grazie all’entusiasmante riscontro del pubblico, sempre numeroso, il Festival Internazionale del cinema di frontiera appare destinato […]
Un tocco di zenzero
L’opera di T. Boulmetis ha degnamente chiuso la terza giornata di un festival che sembra aver acquistato, con la quinta edizione, l’originario mordente. Nonostante investimenti neanche lontanamente confrontabili con i budget su cui contano le rassegne più blasonate, e grazie all’entusiasmante riscontro del pubblico, sempre numeroso, il Festival Internazionale del cinema di frontiera appare destinato a conoscere un prestigio crescente. Importanti referenti del settore guardano da sempre con grande interesse ad una manifestazione che dedica particolare attenzione all’espressione artistica – e linguistica, letteraria- assunta dal cinema nei Paesi più diversi, componendo un quadro composito e affascinante insieme; anche per merito del felice scenario voluto dalla direzione artistica: il solo possibile per dare piena evidenza al senso della frontiera, di confine incarnato dalla giovane rassegna. Ed è un segno perfettamente espresso da una delle pellicole che hanno composto un autentico triathlon su 35 mm.
Lezioni di astronomia a base di spezie accompagnano la pellicola greca, con l’iniziazione di una sposa alla cucina di Costantinopoli. Sono gli occhi di un bambino a descrivere in forme a volte toccanti la dialettica familiare, l’orrore del pregiudizio etnico. O i sentimenti. “Sui binari del treno noi ci voltiamo. E quell’immagine resta come una promessa”.
Ogni film che valga la pena ricordare ha una battuta che lascerà il segno.
E “Un tocco di zenzero” non fa eccezione.