Un referendum contro il cappio del Fiscal Compact e la sua “stupida austerità”

E’ LA PROPOSTA DELL’ECONOMISTA GUSTAVO PIGA E DA ‘VIAGGIATORI IN MOVIMENTO’. QUESTO NON COMPORTEREBBE L’USCITA DELL’ITALIA DALL’EURO

Si può pensare ad un referendum contro la “stupida austerità” delle politiche economiche europee che  stanno distruggendo l’economia e la speranza, senza per questo uscire dall’euro e dall’Ue?
Non solo si può. Ma è l’unica via percorribile secondo un nuovo movimento politico fondato da Gustavo Piga, docente di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, autore di numerose pubblicazioni e tra i primi a denunciare i pasticci della finanza derivata con un saggio del 2001.

‘Viaggiatori in movimento’ il nome scelto per questa nuova organizzazione che nei giorni scorsi ha promosso un incontro a Roma con giuristi ed economisti di diverse estrazioni culturali.
La premessa è che bisogna restare nell’Ue e nel sistema euro: “Se non sei a tavola, sei sul menù”, dice Piga. Ovvero, l’Italia e le altre nazioni, singolarmente non potrebbero mai partecipare alle decisioni geopolitiche mondiali che influenzano la vita di ognuno di noi: finirebbero sul menù. Unite, sì: saranno al tavolo delle decisioni, influenzandole.

Ma questo non significa che bisogna accettare supinamente quelle regole imposte finora e che si stanno traducendo in grossi danni per le economie dei Paesi come l’Italia.

Sul banco degli imputati il Fiscal Compact, l’accordo che ci impone di ridurre ogni anno il debito del 5% della quota eccedente il 60% del Pil. Oggi siamo oltre il 130%, e dunque la correzione dovrebbe essere di circa 3,5 punti di Pil, equivalenti a una cinquantina di miliardi. Da qui discendono tutti quei tagli dissennati subiti dalle pubbliche amministrazioni e la valanga di tasse che alimentano  la spirale perversa recessione-disoccupazione:

“L’austerità che andava fatta in estate, mettendo da parte un po’ del raccolto per i tempi bui,  viene fatta ora, in tempi bui, uccidendo quel poco di vitalità che rimane quando si è deboli”.

E dunque questa nuova formazione politica ha pensato di proporre un referendum popolare per abrogare il “Fiscal Compact” e riconquistare così quel minimo di libertà di manovra sui conti pubblici che ci permetterebbe di attuare una politica di rilancio.

Nell’incontro romano di qualche giorno fa-  cui hanno partecipato tra gli altri, Paolo De Ioanna (consigliere di Stato e membro del movimento, già capo di gabinetto al Tesoro con Ciampi) giuristi quali Antonio Brancasi, Giacinto Della Cananea, Nicola Lupo, Eugenio Picozza, Giulio Salerno e tanti altri- l’ipotesi ha suscitato un vivacissimo dibattito.

Secondo alcuni relatori, infatti, il Fiscal Compact è un trattato internazionale, e dunque la legge italiana che lo recepisce (la 243 del 2012) non può essere sottoposta a referendum, che sarebbe sicuramente dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale.

Non la pensano così i Viaggiatori in Movimento: il Fiscal Compact non ha  valenza di Trattato internazionale perché approvate senza l’accordo di alcuni Stati membri come Regno Unito e Repubblica Ceca, e quindi dovrebbe piuttosto considerarsi un accordo intergovernativo. “Una scelta accurata delle frasi all’interno della 243 di cui proporre l’abrogazione potrebbe passare il vaglio della Corte – ha spiegato Salerno che ha ricordato come  quasi mai la lettera dei quesiti referendari corrisponde esattamente all’obiettivo politico che si vuole raggiungere.
“Ma dall’esito emerge la volontà politica della maggioranza dei cittadini che poi, come la stessa Corte costituzionale ha chiarito, non può essere disattesa”.

“E’ tempo di risvegliare l’Europa dell’euro dal suo sonno di ignavia ed incompetenza, mettendo al centro del progetto europeo crescita e conti pubblici finalmente sostenibili. Il nostro incontro con insigni giuristi che credono nel progetto europeo ha questo scopo: quello di comprendere quanto sia percorribile un percorso referendario volto, nel rispetto dei Trattati europei e della valuta unica, a abolire quelle parti più ottuse delle leggi come quella che richiede all’Italia dal 2015 di ridurre del 5% del PIL (80 miliardi!) il debito pubblico italiano, condannando il Paese ed il continente ad una inevitabile morte del progetto dell’Europa Unita”.

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