Rappresenta il fenomeno dell’ignorare (trascurare) gli altri mentre si è insieme a loro (quindi durante interazioni sociali) per dedicarsi al proprio smartphone. Il termine è stato coniato dagli americani e origina dall’unione di due parole: phone (telefono) e snubbing (trascurare). Due termini derivanti da tale fenomeno sono phubber – colui che snobba gli altri – e phubbee, colui che ne subisce le conseguenze essendo (e vedendosi) ignorato.
Il phubbing ha un fortissimo impatto sulla qualità della comunicazione e genera sentimenti sia di emarginazione sia di esclusione, rappresentando l’azione di snobbare qualcuno all’interno di un ambiente sociale: è come se venisse, ma potremmo scrivere viene, preferito l’uso dello smartphone rispetto all’interazione sociale con la/le persona/e presente/i; va da sé che chi subisce tale modalità si senta messo da parte, posto in secondo piano.
Sembra che in tanti, troppi, siano spesso, o per meglio dire sempre, connessi al proprio smartphone piuttosto che agli altri (e forse anche a se stessi). Si ritiene, infatti, che il cellulare faccia parte della quotidianità: più che un accessorio arriva a diventare un prolungamento della propria mano (o di sé?), uno strumento di cui non si può, o non si vuole, più fare a meno. Se ci guardassimo intorno a una festa, una serata o addirittura durante una cena tra pochi amici, non faremmo fatica a scorgere ben più di una persona china sul telefonino, sintonizzata solo su di esso e probabilmente non ci sembrerà per nulla strano. «Lo fanno tutti, che c’è di strano?», chi non se l’è sentito dire?
Il phubbing è, quindi, un comportamento che consideriamo ormai comune e abituale? Da cosa deriva e quali sono le sue conseguenze? Ignorare gli altri ci porta, ben che vada, a essere distratti ma anche, a volte, all’isolamento vero e proprio. Diverse ricerche sostengono che l’esperienza di phubbing non solo abbia un impatto negativo e abbassi il tono dell’umore, ma anche che riduca la qualità della comunicazione e del rapporto perché le persone si sentono socialmente escluse.
Cosa c’è alla base del phubbing? Possiamo annoverare la dipendenza da smartphone (internet addiction) e la FOMO (fear of missing out – paura e ansia di venir tagliati fuori, di perdersi qualcosa di interessante sui social, online e di conseguenza nella vita reale, accompagnata dal pensiero, costante, che gli altri stiano facendo qualcosa di più interessante di quello che stiamo facendo noi) e la mancanza di autocontrollo, componente chiave nelle dipendenze. Secondo alcuni studiosi (Karadağ e colleghi, 2015), dipendenza, uso eccessivo e compulsivo di smartphone (compreso l’invio di sms, l’uso social network e le applicazioni di giochi) possono sfociare nel fenomeno del phubbing, che gli autori definiscono quale vero e proprio disturbo trasversale a molte dipendenze.
Per taluni può essere fastidioso a tal punto che dal 2013, negli USA, è stata istituita online la campagna stop phubbing sorta per sbeffeggiare i fissati con il telefonino. Chi subisce il phubbing talvolta lo attua generando così un circuito che si autoalimenta: il phubber finisce per diventare phubbee e viceversa, incrementando, in questo modo, la ripetitività e la reciprocità di tale comportamento in una sorta di circolo vizioso.
Sentirsi non visti, oltre che esclusi dall’interazione sociale, genera vissuti di solitudine e/o ansia, tristezza, rabbia, causando esclusione; il phubbing è una nuova modalità di isolamento sociale e, come tale, non ne vanno trascurate le possibili conseguenze negative.
Chi volesse potrebbe scrivermi le proprie considerazioni al seguente indirizzo mail: terapeuta@germanotta.info
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Dott.ssa Antonietta Germanotta
Psicologa e psicoterapeuta sistemico relazionale
Psicotraumatologa EMDR
Tel: 329 9785779
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Sito web: https://germanotta.info/
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