La lunga arringa del governatore Nello Musumeci all'assemblea degli amministratori locali di Diventerà Bellissima, intervenuti alle Terrazze di Mondello per discutere del futuro delle ex Province siciliane. In platea anche gli assessori Razza, Grasso e Lagalla
Un corpo di polizia locale unico per i Comuni siciliani Il governo al lavoro per far partire i concorsi nell’Isola
Un ddl per istituire un unico corpo regionale di polizia locale, in sostituzione dei 390 di polizia municipale che esistono attualmente in Sicilia, ma anche una nuova riforma delle Province scritta insieme agli amministratori locali, incentivi alla differenziata («la cui raccolta e smaltimento spetta però ai Comuni») e un nuovo rapporto con la burocrazia regionale. È un autunno caldo, quello che aspetta il governo regionale guidato da Nello Musumeci che, dal canto suo, scalda i motori dalla terrazza sul mare dell’ex Charleston di Mondello, annunciando le prossime novità alla platea di amministratori locali convocati dal fedelissimo Gino Ioppolo per discutere di Province. E ai suoi annuncia «un’interlocuzione in corso con Roma per far partire i concorsi in polizia in Sicilia».
«I siciliani? Sono abituati alla vernice». Inizia così il lungo j’accuse di Musumeci, davanti ai fedelissimi, da Alessandro Aricò e Giusy Savarino agli assessori Roberto Lagalla, Ruggero Razza e Bernadette Grasso. «Sappiamo di rischiare l’impopolarità – ammette il governatore -. E sappiamo che su cento persone soltanto venti hanno capito come stiamo impostando il lavoro, mentre il resto ci chiede cosa stiamo facendo. Ma i siciliani e la Sicilia non avevano bisogno di nuova vernice sulla ruggine». «Quando siamo arrivati – prosegue Musumeci davanti alla platea attenta convocata d Ioppolo – la Regione non c’era più. Noi abbiamo trovato un foglio di carta intestata e niente di più. I siciliani – ripete ancora – sono stati abituati alla vernice sopra la ruggine. Ed è la stessa ansia che prende molti sindaci, quella di tagliare il nastro per dare alla gente la sensazione che qualcosa si stia facendo. Ma è effimero, non è questo il processo per dare sviluppo alla realtà. Alla Regione abbiamo trovato una forza lavoro di 14mila persone che si sentivano libere di pensare e di agire come volevano. E sapete bene che senza apparato burocratico ogni nostra volontà rimane tale».
Insomma, Musumeci non ci gira attorno: «In questi primi nove mesi – aggiunge – abbiamo scritto le regole. Perché come fai a intervenire sui rifiuti se non hai il piano regionale dei rifiuti? Come fai a intervenire sulle bonifiche ambientali se non hai il piano regionale dell’aria? Come fai a intervenire su fiumi e torrenti se non hai l’Autorità di bacino? Come fai a intervenire sulla scuola se non hai una legge sul diritto allo studio? Come fai a intervenire sulla sicurezza nelle scuole se non sai quali e quante ne abbiamo e come sono messe? E non è che lo deve fare la Regione, lo stato di salute di una scuola, di un torrente o di un’infrastruttura lo deve sapere il proprietario, cioè i Comuni, cioè le Province. Tutto questo è un lavoro che non si vede. Ecco – attacca Musumeci – perché serve togliere la ruggine, ma poi serve lo stucco, poi la carta vetrata e solo alla fine la vernice. Invece veniamo da anni di presidenti buttati davanti alle telecamere a dire nulla».
Ma nella lista delle cose da fare di Musumeci c’è anche l’informatizzazione della Regione. «Le pratiche da un assessorato all’altro passano con gli uscieri. Abbiamo decine di milioni accantonati che non possiamo utilizzare per l’informatizzazione, che è una cosa che non si vede». La responsabilità? «È di tutti – ammette ancora – non trinceriamoci dietro il centrosinistra, le responsabilità sono di tutti, ciascuno per la sua parte, se si è arrivati a tutto questo. Però chi riceve fiducia ha il dovere di governare per tutti. E si può fare solo facendo rete e convincendosi che i partiti vengono dopo. Guai a quel sindaco, a quell’amministratore che non è capace la mattina quando si sveglia di rivendicare il diritto di autonomia di pensiero. Anche – conclude Musumeci – rispetto al proprio partito».