Lo studio di Angelo Sturiale, sotto forma di tributo proposto al pubblico del Centro Zo, è un collage episodico di quattro tra le più audaci delle sue avanguardie. Un approfondimento che lascia spazio alla componente teatrale e figurativa
Tributo a John Cage, spazio alle possibili musiche
Sturiale ha sviscerato, nei fatti, la filosofia di Cage. L’elemento fondante di questo tributo è stato, sostanzialmente, il polimorfismo del linguaggio. A cominciare dal celebre “4’33” per un esecutore”, in cui la facoltà di parola passa al silenzio: nell’accezione originale, è un invito a cogliere la dialettica del suono che, scomparso all’esterno, va – per necessità – ricercato nella propria intimità. «La musica è suono e silenzio. Integrarli vuol dire comporre. Non ho niente da dire, e lo dico» asseriva John Cage.
La recitazione di “Aria”, poi, apre una finestra sulle potenzialità della voce di riprodurre e condensare i suoni della quotidianità. Sturiale si cimenta quindi nella lettura di suoni graficamente resi su carta, riscaldati (o raffreddati) dalle diverse tonalità di colore e dall’intensità del tratto. Si presenta in veste di moderno gringo, in “Variations II”, incastrandosi in un’agonia di meccanicità, di oggetti ritmicamente pre-confezionati e di rumori arrugginiti. Finora è il Cage di fine anni ’50 che gioca con le altre musiche, per l’appunto.
L’ultimo movimento dello spettacolo è “Autoku lecture”, uno degli ultimi lavori di Cage, che consiste nel virtuosismo linguistico della combinazione a incastro tra le parole e loro grafia, a far intendere la potenzialità infinita nel raccordo interno dell’espressione stessa. In parole povere, il senso che decade in relazione alle convenzioni sul significato, acquisendo invece diverse direzioni di leggibilità, di inflessione e di accentazione.
In definitiva, quel che può definirsi una “faticaccia”. Sturiale pare aver sondato l’opera di John Cage in maniera capillare, affrontandone però la post-contemporaneità esclusivamente attraverso il canale teatrale. Una grossa percentuale del tributo rischia così di perdersi nell’autorefenzialità, o comunque di ingabbiarsi nella ristretta cerchia degli aficionados dell’autore statunitense. Chi avesse voluto avvicinarsi alla complessità di Cage, forse avrebbe potuto trovare un efficiente veicolo di mediazione nelle sue composizioni per pianoforte.