Il giovane capitano aveva sostituito Emanuele Basile, ucciso tre anni prima sotto gli occhi della moglie e della figlia. Alle 10.30 in via Cristofaro Scobar, sul luogo dell’eccidio, gli onori ai militari e la deposizione di una corona d’alloro. A seguire, alle 12 a Monreale, verrà deposto un fascio di fiori ai piedi della lapide che ricorda i tre appartenenti all’Arma
Trentadue anni fa la strage di via Scobar Palermo ricorda D’Aleo, Bommarito e Morici
Era il 13 giugno 1983 quando la mafia uccise il capitano Mario D’Aleo, l’appuntato Giuseppe Bommarito e il carabiniere Pietro Morici. Alle 10.30 in via Cristofaro Scobar, sul luogo dell’eccidio, sono stati resi gli onori ai militari ed è stata deposta una corona d’alloro. A seguire, alle 12 a Monreale, in via Venero 1 verrà deposto un fascio di fiori ai piedi della lapide che ricorda i tre appartenenti all’Arma.
Il capitano D’Aleo, 29 anni, comandante della Compagnia carabinieri di Monreale venne assassinato da un commando di sicari di Cosa Nostra giunti a bordo di due motociclette sotto la sua abitazione in via Scobar a Palermo, mentre Bommarito e Morici, che attendevano l’ufficiale, furono uccisi in macchina, a poca distanza dal portone.
D’Aleo aveva sostituito nel ruolo di comandante della Compagnia il capitano Emanuele Basile, ucciso tre anni prima sotto gli occhi della moglie e della figlia. Da lui ereditò le indagini che aveva avviato il suo predecessore, sui traffici illeciti gestiti dalle famiglie mafiose di San Giuseppe Jato, Altofonte e Monreale. Aveva approfondito indagini dirette a colpire gli interessi mafiosi nella zona, anche tramite fermi ed arresti, dimostrando pubblicamente di volere compiere il suo dovere, senza farsi condizionare dal potere mafioso acquisito dai boss e dal pericolo delle loro ritorsioni.
Il primo segnale il giovane capitano lo ricevette il 7 gennaio 1982, quando osò arrestare Giovanni Brusca, responsabile di alcuni attentati intimidatori, allora rampollo della famiglia di San Giuseppe Jato, che era agli inizi della sua carriera criminale e oggi collaboratore di giustizia. Il nonno del boss, Emanuele Brusca, si presentò allora in caserma per “rimproverare” il giovane capitano per quello che aveva fatto al nipote che definiva “un bravo ragazzo”.
La mafia uccidendo D’Aleo volle fermare l’azione dello Stato che avrebbe potuto ledere gli interessi ed il prestigio di Cosa Nostra sul territorio. Tra l’altro, l’ufficiale stava mettendo in pericolo la latitanza di due boss del calibro di Bernardo Brusca e Salvatore Riina.
I colleghi e quanti hanno avuto l’onore di conoscerlo, lo ricordano per le indagini sulle cosche mafiose ma anche per il suo sorriso che lo contraddistingue in ogni foto scattatagli durante la permanenza in Sicilia, velato dalla malinconia di chi presagisce la sua sorte.