Durante l'udienza il generale ha contestato il figlio dell’ex sindaco di Palermo, attaccandolo e smontando le testimonianze perché rese «a rate» e senza disporre dei «fondamenti conoscitivi della materia»
Trattativa, per Mori solo un processo mediatico «Dichiarazioni Ciancimino jr una messa in scena»
Vito Ciancimino accettò di svolgere il ruolo di «agente sotto copertura» per dare un contributo alle indagini sul sistema illegale degli appalti. A rivelarlo è stato il generale del Ros Mario Mori che oggi ha reso spontanee dichiarazioni nel processo per la trattativa Stato-mafia. Mori ha fatto il punto sui contatti con l’ex sindaco mafioso di Palermo che si svolsero nel 1992. Gli incontri tra l’ufficiale e Ciancimino furono in tutto quattro e si svolsero, dopo alcuni contatti avviati dall’allora capitano Giuseppe De Donno, tra il 5 agosto e il 18 ottobre 1992. I colloqui, stavolta gestiti dal procuratore Gian Carlo Caselli e dal pm Antonio Ingroia, proseguirono a partire dal 1993 in carcere in seguito all’ arresto dell’ex sindaco.
Nel corso dell’udienza, Mori ha ricostruito i colloqui «confidenziali» dando il senso di un’attività investigativa che mirava alla cattura dei grandi latitanti di Cosa nostra e smentendo qualsiasi trattativa. Ciancimino accettò, durante gli incontri con i due ufficiali del Ros, di prendere contatti con l’altra parte ma chiese alcune precauzioni: gli incontri dovevano avvenire all’estero, il mediatore doveva essere lo stesso Ciancimino che chiese un «occhio di riguardo per i suoi problemi giudiziari». «Tutte queste richieste – ha detto Mori – mi apparvero piuttosto la conferma delle preoccupazioni personali di Ciancimino, volto a cautelarsi rispetto alla sua difficile situazione giudiziaria».
Durante il processo, Mori ha anche contestato le dichiarazioni del figlio dell’ex sindaco di Palermo, attaccandolo e arrivando a definire il processo sulla trattativa come un «processo mediatico», uno dei punti centrali della linea difensiva illustrata oggi in aula dal generale. «Queste dichiarazioni, caratterizzate da una inusitata diluizione nel tempo, accompagnate da fughe di notizie e preannunci sensazionalistici, inframmezzate da interviste sui giornali e apparizioni televisive ben orchestrate, hanno creato – ha detto Mori – una sorta di processo mediatico, tutt’ora in corso, che ha finito per indurre, nell’opinione pubblica, convincimenti che i fatti e gli esiti processuali non hanno assolutamente ratificato ed hanno, anzi, sonoramente smentito».
Mori ha criticato le dichiarazioni di Ciancimino jr su molti punti tra cui i contatti con il famigerato Carlo/Franco un funzionario dei servizi di sicurezza che avrebbe assicurato il collegamento con Nicola Mancino e Virginio Rognoni, uno imputato e l’altro teste nel processo. Secondo Mori, le dichiarazioni a rate di Massimo Ciancimino sono paragonabili a «una messa in scena» del tutto inattendibile perché «egli non dispone dei fondamenti conoscitivi della materia, fatto che gli avrebbe consentito di appoggiarsi a riferimenti più validi invece di quelli romanzeschi usati». L’ufficiale ha quindi accusato il figlio di Ciancimino di avere presentato fotocopie di prove infondate. Ciancimino jr non avrebbe assistito «agli incontri tra il padre e gli uomini del Ros, non ha prodotto dichiarazioni o scritti autentici attribuibili al padre».
«I rapporti del Ros con i magistrati sono stati sempre improntati alla massima lealtà investigativa». Ha detto poi De Donno, anche lui rendendo spontanee dichiarazioni al processo. De Donno avviò nel 1992 i contatti con l’ex sindaco Vito Ciancimino che, secondo l’accusa, furono l’inizio di una vera e propria “trattativa” con il vertice di Cosa nostra. De Donno ha invece sostenuto che il suo gruppo ha sempre mantenuto un unico canale informativo con la magistratura sin dai tempi in cui promosse, nel 1991, un’indagine su mafia e appalti in Sicilia. «La teoria della doppia informativa – ha detto De Donno – non solo non è stata mai provata nei vari processi in cui se ne è parlato ma è smentita nei fatti dalle ricostruzioni investigative e giudiziarie».
Ad apertura dell’udienza, inoltre, il presidente della corte d’assise Alfredo Montalto ha annunciato che il Libano ha concesso un’altra estradizione per Dell’Utri che in questo processo – attualmente sta scontando in carcere una condanna definitiva a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa – è imputato di minaccia a corpo politico dello Stato. Viene giudicato in contumacia. La decisione di estendere l’estradizione di Dell’Utri, arrestato a Beirut due anni fa, a quest’ultima imputazione è stata adottata dal consiglio dei ministri libanese il 4 agosto scorso. La comunicazione formale è stata trasmessa il 22 agosto alla Procura generale di Palermo.