Tra un ‘gelato’ e l’altro l’Italia si prepara alla guerra

NESSUNO DICE CHE, NEL NOSTRO PAESE, SONO OSPITATI OLTRE SETTANTA ORDIGNI NUCLEARI. SONO ARMI MICIDIALI CHE FAREBBERO SEMBRARE LE BOMBE DI HIROSHIMA E NAGASAKI PETARDI DI CARNEVALE. IN PARTE, ARMI TARGATE NATO. CON MANUTENZIONI COSTOSISSIME A CARICO DEGLI IGNARI CONTRIBUENTI ITALIANI

In questi giorni si parla sempre più di frequente del rischio di un nuovo conflitto tra i Paesi che qualche decennio fa furono i protagonisti della cosiddetta “guerra fredda”, un conflitto senza scontri armati che caratterizzò e cambiò la vita di molti popoli, inclusi quelli europei. Il fenomeno che più di ogni altro ha segnato quegli anni fu la continua corsa agli armamenti: entrambi i contendenti riempirono i propri arsenali di un elevatissimo numero di ordigni nucleari.

Si stima che in quegli anni siano state fabbricate oltre 128.000 testate nucleari (di cui 70.000 dagli Stati Uniti e 55.000 dall’Unione Sovietica). Alla fine Russia e Stati Uniti, e i loro rispettivi alleati, decisero di sottoscrivere diversi accordi che prevedevano la cessazione della costruzione di questi armamenti e il progressivo disarmo degli ordigni nucleari. L’accordo finale fu denominato Trattato di Non Proliferazione Nucleare e vi aderirono (sebbene in fasi e modi diversi) quasi tutti i Paesi del globo.

Ma come la storia ci ha ormai insegnato, nonostante gli accordi sottoscritti la corsa agli armamenti continuò. Almeno fino al 1987 (in alcuni Paesi continua ancora) quando fu firmato il Trattato di riduzione delle armi nucleari a medio e corto raggio INF. Successivamente furono firmati diversi altri accordi per la riduzione dell’arsenale nucleare.

La realtà è che, in barba alle decine di accordi sottoscritti con cadenza quasi costante, molti dei Paesi firmatari (come Cina, Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti) hanno mostrato di essere determinati a rimanere “potenze nucleari”. Anzi hanno modernizzato i propri arsenali.

Secondo i dati SIPRI del 2012, oggi sarebbero ancora “disponibili” circa 19.000 armi nucleari. Di queste, più di 4.400 sarebbero “schierate”, cioè “pronte all’uso”. E per di più posizionate in siti strategici.

E qui entra in gioco il Bel Paese. Sì, perché i Paesi in possesso di armi nucleari non hanno posizionato queste armi di distruzione di massa solo sul proprio territorio, ma anche in altri siti. In parte in base ad accordi internazionali come quelli NATO, in parte “ospiti” di Paesi amici (ma forse sarebbe meglio dire succubi).

Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia “ospitano” siti missilistici USA. Il tutto in palese violazione del divieto di “trasferire armi nucleari in Stati non nucleari” previsto dagli accordi sottoscritti.

Ad esempio, l’Italia è uno Stato “non nucleare” eppure sul proprio territorio ha una settantina di ordigni nucleari pronti per essere utilizzati. Posizionamento di armi nucleari “tattiche” che, se poteva avere una giustificazione (ammesso che il ricorso alla guerra abbia mai avuto senso) alcuni decenni fa come “deterrente”, appaiono ormai superate sia militarmente che politicamente.

Sarebbe stato normale quindi vedere i vari Parlamenti e i vari Governi italiani “pacifisti” (e rispettosi della Costituzione) che si sono succeduti negli ultimi decenni, richiedere la rimozione di questi ordigni dal territorio nazionale o, quanto meno, segnalare il “problema” alle autorità competenti (ad esempio, la NATO).

NATO che, in questi giorni, ha deciso di creare una task force di pronto intervento in grado di intervenire rapidamente nei Paesi Baltici (ma i TG non l’hanno detto), come se si fosse in procinto di un nuovo conflitto mondiale.

Il segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, ha detto che la “forza”, basata sul supporto da parte degli alleati, potrebbe essere in azione con un “preavviso molto, molto breve”, con un palese riferimento alle basi già esistenti in Europa.

“Siamo pronti se dovesse succedere qualcosa di brutto”, ha detto un alto funzionario della Nato. Fino a qualche decennio fa, durante la guerra fredda, la creazione di una simile “forza ad alta prontezza” sarebbe stata vista dalla Russia come una palese aggressione. Con le conseguenze che ne sarebbero derivate.

Ma la cosa più strana è che, nonostante la presenza di decine di ordigni nucleari non “italiani” presenti nel nostro Paese, nessun Governo ha mai ammesso la presenza di tali arsenali. Il tutto è tenuto segreto. In pratica, afferma Simoncelli, vice presidente dell’Archivio Disarmo, “nessun governo italiano di centrodestra o di centrosinistra, non negando e non dicendo, ha mai ammesso la presenza di tali arsenali sul nostro territorio nazionale, anche se all’estero tutti sanno quante sono e dove sono. Gli italiani sono trattati come minori che non devono sapere”.

Solo le nostre Forze Armate si sono mostrate “fiere” di questa situazione, al punto da aver indetto i festeggiamenti per i 50 anni dell’arrivo delle testate nucleari alla base di Ghedi, vicino Brescia.

Ultima a denunciare la presenza di questo arsenale nucleare straniero in Italia, per assurdo che possa sembrare, è stata la Fas, la Federation of American Scientists, che ha fatto presente come appaia strano come così tanti ordigni nucleari siano posizionati in Europa (circa 180) e, in modo particolare, in Italia (una settantina). Un arsenale che non dovrebbe essere dov’è e che, in base agli accordi sottoscritti sia dagli USA che dall’Italia, avrebbe dovuto essere rimosso entro il 2012. E invece, non solo non è stato tolto, ma anzi viene regolarmente “aggiornato” (con i nuovi missili B61-12, previsti entro il 2020).

Ordigni non italiani e non controllati dagli italiani, ma su territorio italiano e che comportano spese per gli italiani. Nessuno conosce i costi di manutenzione e gestione che comportano perché sui nostri bilanci della Difesa non vi è alcuna indicazione. Voci non riportate in alcun bilancio, ma che hanno un peso non indifferente sulle tasche degli cittadini. E allora cosa fare per evitare che qualcuno possa obiettare qualcosa (come nel caso dei miliardi di euro destinati agli F35)? Semplice, basta non dirlo.

Le due basi “atomiche” (quella dell’Aeronautica militare di Ghedi e quella “statunitense” di Aviano, in provincia di Pordenone) comportano un costo non indifferente. Spese che, a un quarto di secolo dalla fine della guerra fredda, appaiono ingiustificabili. E soprattutto per siti militari che, nel caso in cui i rapporti tra la Russia e gli USA dovessero inasprirsi, potrebbero fare dell’Italia un “obiettivo strategico”, con conseguenze che non è necessario spiegare.

I Parlamenti e i Governi che si sono succeduti negli ultimi anni avrebbero dovuto spiegare agli italiani cosa ci sta a fare a Ghedi il 704esimo Squadrone Munitions Support (Munss), unità della US Air Force che ha il compito di proteggere e mantenere operative le 20 bombe nucleari B-61 presenti nella base. Hans Kristensen, direttore del “Nuclear Information Project” ha detto: “Il Munss non sarebbe presente nella base se non ci fossero armi nucleari. Esistono solo quattro unità Munss nell’aviazione militare statunitense e sono dislocate nelle quattro basi in Europa dove le armi nucleari sono conservate per essere lanciate da aerei della nazione ospitante”.

Aerei della nazione ospitante? Forse quindi l’Italia non dovrebbe solo “ospitare” queste armi, ma addirittura aiutare ad utilizzarle in caso di conflitto? Ma gli F35 non erano stati acquistati come velivoli per la “difesa” (in realtà alcune voci erano trapelate sulla possibilità per questi velivoli di imbarcare ordigni nucleari, ma erano state smentite). Bombe che farebbero apparire quelle di Hiroshima e Nagasaki dei petardi di carnevale (si parla di una potenza distruttiva pari a 900 volte superiore). Stessa cosa per la base di Aviano dove è “ospitata” il 31esimo Fighter Wing, che dispone di caccia-bombardieri F-16.

L’Italia ripudia la guerra (art. 11 della Costituzione) e si impegna a non dotarsi o ospitare armi nucleari (artt.1 e 2 del Trattato di Non Proliferazione Nucleare), ma al tempo stesso, tra un gelato e l’altro, partecipa a vere e proprie guerre (chiamarle “missioni di pace” non serve più a molto), e ospita arsenali nucleari di Paesi stranieri.

 

 

 


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