Tra i mastri birrai che hanno ridato speranza a Messina «Cuore, sacrifici e studio: anche qui si può creare lavoro»

«Quando uno crede nel proprio lavoro e ci mette cuore e coraggio, può riuscire a realizzare un sogno». Nel 2016 che si avvia alla conclusione, le parole di Mimmo Sorrenti, presidente del Birrificio Messina, sono una luce di speranza. Nei capannoni di Larderia, periferia Sud di Messina, dove i 15 mastri birrai hanno trasformato un fallimento in una brillante nuova impresa, la retorica è bandita. A rendere credibili parole oggi abusate come «sogno», «cuore», «coraggio» bastano la storia, la fatica, la sofferenza dei soci della cooperativa. 

Oggi la produzione è avviata e il magazzino è pieno di pedane di scatole con dentro la birra. «Si vive nello stabilimento e si dorme poco, ma va bene così», dicono i soci lavoratori, mostrando i capannoni. «Ci siamo improvvisati elettricisti, carpentieri, imbianchini, muratori, entrare la mattina qui è un sogno», spiega Adolfo Giordano, tra i più giovani. E tanti semplici cittadini li hanno aiutati. «Ci sono storie che non possiamo dimenticare – racconta Mimmo Sorrenti -. Come la signora anziana che abbiamo incontrato fuori da un ospedale di Messina. Vive con una sola pensione insieme al fratello malato, eppure mi ha fermato perché voleva darmi 300 euro. L’abbiamo invitata a ripensarci, a tenere per sé quel denaro, le abbiamo spiegato che non potevamo accettare soldi in contanti, ma che doveva fare un bonifico, a quel punto ci ha chiesto di aiutarla a compilare il bollettino. Persone come questa signora ce ne sono state tante e le abbiamo invitate tutte all’inaugurazione, perché era anche la loro festa». 

Le stesse persone che, quando la vecchia azienda era sull’orlo del fallimento e gli operai montarono il gazebo in via Bonino per presidiarne, hanno portato i pannolini e regali ai bambini dei mastri birrai. E ancora la stessa gente comune che nei mesi scorsi, in una sorta di pellegrinaggio laico, ha raggiunto i capannoni di Larderia per chiedere di comprare la birra prima che questa entrasse in distribuzione. «Abbiamo lottato con le unghie e con i denti. Spingendoci a fare quello che altri avrebbero dovuto fare al nostro posto», continua il presidente della cooperativa che, insieme agli altri soci, ha seguito ovunque il presidente della Regione Rosario Crocetta per ottenere l’uso dello stabilimento dell’ex area industriale.

Pazienza, ma anche studio: intere notti passate sui libri «perché abbiamo dovuto imparare di nuovo a fare i conti. Qui tutti devono sapere far tutto, non ci sono qualifiche. Era un salto nel buio, in cui abbiamo trascinato anche le nostre mogli e i nostri figli che ci hanno sostenuto quando il Birrificio Messina era solo un progetto scritto su un foglio bianco seguito dai nomi di 15 amici e colleghi». 

Mentre si lavora, si continua a guardare al futuro, in particolare a quello di tanti giovani siciliani. «Ci piacerebbe che si producesse il malto in Sicilia, così da poter fare una birra al cento per cento nostra – conclude Mimmo Sorrenti – i terreni ci sono, basta pensare a quelli confiscati alla mafia. Nella nostra isola si può creare lavoro, bisogna rimboccarsi le maniche e non arrendersi mai, davanti a niente e nessuno».


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