Europee, il centrodestra cambia rotta: la nuova strategia solitaria della Dc spaventa gli alleati

«Un anno fa un sondaggio ci dava sotto l’uno per cento, alla fine alle elezioni abbiamo superato il sei e secondo me se si votasse oggi non esagero se dico che potremmo raggiungere il 12 o addirittura il 14 per cento». La previsione, forse un po’ troppo ottimistica, è di Carmelo Pace, capogruppo all’Assemblea regionale siciliana della Democrazia cristiana di Totò Cuffaro, che crede nelle potenzialità del suo partito e forse non sbaglia neanche troppo, vista la crescente attenzione sulla rediviva Dc. In questo caso ha pagato la strategia attendista, quella che non prevede grandi esposizioni e prese di posizione all’interno di una maggioranza, quella di Renato Schifani, che proprio non riesce ad andare d’accordo.

Una tecnica che ha pagato, quella dei democristiani, ma che negli ultimi giorni ha iniziato a vacillare, visto il trattamento spesso subito specie in sede di formulazione di nomine, che hanno visto il partito dei cuffariani spesso sottovalutato e quasi mai premiato nelle grandi spartizioni di poltrone delle ultime settimane. L’ultima stoccata agli scudocrociati è arrivata da quello che sembrava essere l’alleato su cui fare maggiore affidamento, il presidente della Regione Renato Schifani, lo stesso che in vista delle europee aveva proposto di ospitare con la sua Forza Italia anche i centristi in un’unica lista. Una decisione che a suo tempo era sembrata – ed era – un colpo, invidiata in primis dagli alleati, che avrebbe potuto spostare seriamente gli equilibri interni della coalizione. D’altra parte persino il matrimonio Lega-Mpa era avvenuto all’indomani dell’apertura di Schifani ai centristi. Centristi che di fatto hanno più e più volte rappresentato la base più solida su cui ha fatto leva il governo regionale, specie nei momenti di burrasca da spartizione di poltrone.

Eppure il presidente mediatore, così si definì lo stesso Schifani, stavolta non è riuscito a fare in modo che parte del suo partito si facesse andare bene la convivenza elettorale con Cuffaro. E prova ne è la glaciale freddezza con cui l’argomento è stato toccato durante la convention di Taormina, con la Dc presentata, pur senza mai nominarla, quasi come ospite indesiderato che può sì rimanere, purché si ricordi bene chi è il padrone di casa. «So bene chi non ci vuole» dice da par suo Cuffaro, riferendosi a qualche anima della dirigenza di Forza Italia, «che sa bene chi sono stato e chi sono». Da qui l’idea di correre comunque da soli, con una «lista d’ispirazione sturziana» dal nome Liberi e forti, sempre in area Partito popolare europeo, come da tradizione.

Impresa oltremodo ardua, ma non meno di quella di Forza Italia, che di certo non è più quella di Berlusconi. La strategia forzatamente adottata dalla nuova della Dc spinge infatti i forzisti a dover fare più di un conto con i numeri, visto che il rischio forte è che nel collegio delle Isole il partito azzurro possa rimanere addirittura a secco di seggi, cosa che di sicuro non sarebbe avvenuta a ranghi uniti Dc-FI. E questa sì che sarebbe una catastrofe simil apocalittica, visto che Autonomisti, Fratelli d’Italia, persino Lega, non attendono altro per potere sferrare il colpo e chiedere altre nomine, altre poltrone, magari un rimpasto di giunta. E questa volta Schifani difficilmente potrà contare sulla stabile stampella di Cuffaro e dei suoi.


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