«Tornati (a casa) per tempo è uno spettacolo dove nulla è come sembra». È così che Nicola Alberto Orofino ha definito la serie teatrale che ha ideato durante il lockdown, andata in scena nella sala Verga del teatro Stabile di Catania. Dopo aver visto tutte e quattro le puntate è impossibile dargli torto. Il lavoro riprende al 100 per cento il format delle serie tv e ne adatta alla recitazione dal vivo tutte le caratteristiche. Gli episodi, infatti, sono andati in scena con cadenza settimanale, ogni lunedì, con tanto di riassunto di quelli precedenti. Ogni puntata, della durata di circa 45 minuti, ha tenuto inchiodati gli spettatori alle poltrone grazie anche alla drammaturgia, composta da dialoghi veloci e incalzanti ma anche da lunghi silenzi, di Roberta Amato, Giovanni Arezzo, Nicola Alberto Orofino e Alice Sgroi che ha contribuito a mantenere sempre alto il livello di attenzione del pubblico.
La regia, firmata da Orofino, non ha lasciato nulla al caso e anche il più piccolo dettaglio è stato curato con precisione, così come le scene e i costumi curati da Vincenzo La Mendola e le luci di Gaetano La Mela. Protagonista del palcoscenico la sporca e lurida famiglia De Sanctis, così come la definisce il defunto capostipite, coscienza narrante presente in ogni episodio grazie ad un grande ritratto posto al centro della scena e alla voce fuori campo di Filippo Luna.
Sul palco si alternano e si raccontano i tre figli di Vincenzo Maria De Sanctis: Rodolfo (Salvo Drago), direttore del coro della Cappella Pontificia, Violetta (Carmen Panarello), scrittrice pluripremiata di saggi di psicologia, Alfredo (Luca Fiorillo) macellaio gourmet e Carlotta (Cristiana Raggi), moglie di Alfredo. I tre fratelli si ritrovano, dopo 10 anni di silenzio, nella casa natia attorno alla bara del padre, morto in seguito a un incendio che si è sviluppato all’interno dell’abitazione. A contrapporre i protagonisti e a dare vita alla storia è il testamento del genitore defunto, riguardo al quale si sviluppa un’accesa contesa. In realtà, il documento lasciato dal padre è il mezzo che permette ai personaggi (interpretati in maniera impeccabile da tutti gli attori) di raccontarsi, ma anche di scoprire tutti gli altarini che hanno tenuto nascosti durante il lungo periodo di lontananza. Dal primo al quarto episodio si assiste anche a una trasformazione dei personaggi e, soprattutto, del linguaggio utilizzato che passa, in un’escalation continua che segue anche l’evolversi della storia, da giocoso a serio fino a diventare improvvisamente drammatico nell’ultimo episodio.
Il finale è stato inaspettato e se sia stato lieto o meno dipende dai punti di vista perché, così come accade nelle serie televisive, gli scenari che restano aperti sono molti. Che non sia proprio questo l’inizio della seconda stagione? In questo clima di profonda ambiguità dove alla fine davvero nulla è come sembra, una sola cosa è certa: Omnia vincit amor (l’amore vince tutto) anche nella «sporca, lurida e lercia famiglia De Sanctis». Almeno fino ad ora.
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