La morte di Tony Drago: per la Corte europea dei diritti umani «indagini inefficaci»

La Corte europea per i diritti umani (Cedu) ha constatato il «fallimento delle autorità italiane nell’indagare efficacemente sulla morte di Tony Drago». Così si legge nella sentenza arrivata più di sei anni dopo la presentazione del ricorso da parte di Rosaria Intranuovo. La madre del militare siracusano trovato morto nel cortile della caserma Sabatini Lancieri di Montebello di Roma il 6 luglio del 2014. «Un primo passo che mi restituisce un po’ di speranza», commenta a MeridioNews la donna che da anni continua a chiedere verità e giustizia. Quella della Cedu su Tony Drago non è una sentenza definitiva, ma «stabilisce con chiarezza due punti fondamentali del nostro ricorso», chiarisce al nostro giornale l’avvocato Dario Riccioli. «Innanzitutto che le indagini non sono state efficaci e poi che c’è stata una violazione del diritto alla vita da parte dello Stato italiano», sottolinea il legale che assiste la madre della vittima.

La sentenza della Cedu sul caso di Tony Drago

La sentenza è stata emessa da una camera composta da sette giudici: la presidente Ivana Jelić (Montenegro), Erik Wennerström (Svezia), Raffaele Sabato (Italia), Davor Derenčinović (Croazia), Alain Chablais (Liechtenstein), Artūrs Kučs (Lettonia), Anna Adamska-Gallant (Polonia) e il cancelliere di sezione Ilse Freiwirth. All’unanimità hanno ritenuto che «le autorità italiane non hanno fornito una spiegazione convincente sulle circostanze della morte di Tony Drago […] E non hanno compiuto un adeguato tentativo di accertare i fatti». Insomma, per la Cedu, lo Stato italiano avrebbe dovuto fornire una spiegazione plausibile per la morte del militare siracusano. Invece, a sostegno del suicidio, «il Governo si è basato sui risultati della perizia medico-legale iniziale. La Corte – si legge nel documento – ha osservato che la conclusione di tale rapporto era espressa in termini di probabilità piuttosto che di certezza».

La ricostruzione

Le prime indagini, infatti, vengono chiuse presto e il decesso bollato come suicidio: per la procura, Tony Drago si sarebbe lanciato da una finestra di un bagno in disuso della caserma. Una ricostruzione che non convince i familiari che presentano una denuncia: otto militari vengono iscritti nel registro degli indagati. Durante l’incidente probatorio, viene esclusa l’ipotesi del suicidio. Dopo una «strana inerzia» della procura romana, la richiesta di avocazione delle indagini al procuratore generale della corte di Appello e la sollecitazione di altre indagini con una nuova consulenza medico-legale, arriva comunque l’archiviazione. «Permangono zone d’ombra non investigate e, oramai, di difficile accertamento». Scrive la gip nella sentenza a cui i familiari di Tony Drago si oppongono ancora forti delle anomalie riscontrate.

Le «domande rimaste senza risposta»

Adesso, in primo luogo, la Cedu osserva che sulla morte di Tony Drago «importanti domande sono rimaste senza risposta». L’elenco dei giudici europei inizia dall’assenza dei filmati delle telecamere di videosorveglianza della caserma. «Non c’è alcuna indicazione che gli investigatori abbiano cercato di ottenerle», si legge nel documento. Altra lacuna riguarda i tabulati telefonici e gli accessi sospetti alle mail del militare dopo la morte ma prima del sequestro del suo computer. Tra le «incongruenze e le anomalie» certificate dalla Cedu c’è anche il bagno non sigillato e il mozzicone di sigaretta trovato lì non analizzato.

I giudici, infine, hanno anche notato che le uniche dichiarazioni prese dagli inquirenti erano stato quelle della ex fidanzata di Tony Drago e di cinque commilitoni. Quattro dei quali erano in licenza la notte in cui il militare è morto. La prima fase delle indagini viene dunque definita «incompleta». Al punto che, «sebbene la seconda fase sembra essere stata più approfondita, alcune carenze essenziali non potevano più essere rimediate». Per questo, la Cedu arriva alla conclusione che «la spiegazione che la morte fosse il risultato di un suicidio per salto dalla finestra dell’edificio degli alloggi non poteva essere considerata sufficientemente persuasiva».

Una sentenza che non è (ancora) definitiva

Questo non significa che la Cedu stia prendendo posizione sulla causa della morte di Drago. Quel che viene messo nero su bianco è che lo Stato ha violato l’articolo 2 «per l’obbligo di proteggere il diritto alla vita». E «non ha adempiuto all’onere di fornire una spiegazione soddisfacente e convincente sulle circostanze della morte». La sentenza non è definitiva. Ci sono, infatti, tre mesi di tempo in cui ciascuna delle parti – l’avvocatura dello Stato e il legale della madre – può richiedere che il caso passi alla Grande camera della Corte. In quel caso, sarà un collegio di cinque giudici a valutare se il caso meriti ulteriore esame per arrivare a una sentenza definitiva. «Prima di decidere come procedere – dichiara l’avvocato Riccioli a MeridioNews – aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza. Ma non escludo – conclude – di potere chiedere alla Cedu di esprimersi anche sulle cause della morte di Tony Drago».


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