The Truman Boss, la storia di Vincenzo Balli «Una messinscena che ci ha strappato tutto»

«Loro non sapranno mai cosa significa stare chiusi per anni in una piccola camera, con le tapparelle sempre ben chiuse, senza potere uscire o parlare con qualcuno». C’è tutto il dolore di Vincenzo Balli già in queste poche parole. La rabbia per una giustizia che, anche quando è arrivata, non è riuscita a ripagarlo dei quasi tre anni passati sotto scorta, minacciato fintamente da una mafia che di lui non sapeva nulla, in realtà. Una storia surreale, «quando la racconto ancora oggi qualcuno stenta a crederci», dice Balli, che ha voluto raccontare tutto nero su bianco, nel libro scritto insieme al giornalista Giuseppe Lo Bianco, The Truman Boss

Inizia tutto quando, nel 2004, il suo socio in affari, Mario Musotto, lo convince di essere finito nel mirino di Cosa nostra e di doversi sottoporre necessariamente a un programma di protezione. Un piano congeniato, studiato nei minimi dettagli e che potrebbe aver coinvolto non poche persone. A finire a processo però sono solo in tre: il socio, condannato in appello a tre anni per sequestro di persona, e i coniugi Alfredo Silvano e Daniela Todaro, due complici le cui pene, due anni per lui e un anno e mezzo per lei, sono state sospese in previsione del risarcimento del danno alle vittime.

«Ho voluto fortemente questo libro per far sapere a tutti quello che mi è successo e che poteva succedere a chiunque», spiega durante la presentazione alla libreria Tantestorie di via Ariosto. «Mi chiedono sempre ma com’è che ci sei cascato? – dice – Non voglio raccontarvi dettagli e particolari, sono tutti in questo libro, insieme a nomi e fatti ben precisi, solo leggendolo si potrà capire a pieno la mia storia». A segnare lui e la sua famiglia, tuttavia, non sono quei tre anni di messinscena trascorsi rinchiusi, nel terrore costante di subire delle ritorsioni in realtà inesistenti. Non solo, almeno. 

«Quello che ti devasta è il non essere creduto, la sensazione di non avere via d’uscita – racconta, in preda all’emozione – Se denunci e non ti crede nessuno, come fai ad avere giustizia?». Una giustizia, secondo lui, ottenuta solo in parte, «sulla carta». «Non sento neanche di definirla come tale, anche se ci sono casi in cui addirittura non si arriva neppure a una qualche sentenza – continua – Ma una messinscena di queste proporzioni, che ha tenuto sotto scacco un’intera famiglia per tre anni, doveva per forza coinvolgere più persone, che non sono mai nemmeno state indagate. Chi li restituisce questi primi tre anni di vita a mia figlia?».

I lettori accorsi alla presentazione del libro sono pieni di domande, di interrogativi. Ma uno la fa da padrone: «Perché?». «È una domanda che ossessiona anche me e alla quale, ancora oggi, non so dare una risposta», dice Balli. «Abbiamo ipotizzato moltissimo scenari – spiega il suo avvocato, Mario Bellavista – Quello più plausibile potrebbe essere riconducibile al riciclaggio di denaro». La Corte d’appello ha infatti stabilito che i tre imputati hanno tratto vantaggi economici, appropriandosi delle entrate delle manifestazioni organizzate dalla società di vendita online di spettacoli di Musotto e Balli, la Word Ticket. Quasi tre anni di finte minacce e intimidazioni, di sedicenti carabinieri e uomini dello Stato, di trasferte improvvise in luoghi top secret, tutto solo per i soldi. Chissà per quanto ancora sarebbe potuto andare avanti, se Balli in persona, iniziando a sospettare qualcosa, non avesse deciso di iniziare a indagare da solo scoprendo un vaso di Pandora.

«Dopo anni mi sono reinventato: ho dato vita a un’associazione turistica che offre viaggi ed escursioni promuovendo il territorio siciliano, ma non è stato semplice ricominciare e gestire tutto – rivela – Raccogliere tutti i miei appunti e iniziare a scrivere mi è servito molto, ma nello stesso tempo mi ha isolato». Del mondo degli spettacoli e della musica ormai non fa più parte. Non riesce più a guardare un manifesto per la strada, senza sentire una stretta allo stomaco. «Il mio lavoro mi è stato strappato. Io e mia moglie siamo stati a guardare da una finestra mentre ci veniva portato via tutto quello che avevamo faticosamente costruito». Gli anni passati a cercare di ottenere giustizia, d’altro canto, hanno generato diffidenza in conoscenti e colleghi. «Ti guardi attorno e non vedi più nessuno, nemmeno quando ce l’hai fatta. Arriva una sentenza, ma intanto i telefoni non squillano più». 


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Lui e la sua famiglia vivono per quasi tre anni rinchiusi dentro una camera, con le tapparelle abbassate e la paura continua di finire uccisi dalla mafia. In realtà è tutta una finzione ordita dal socio in affari, dalle intimidazioni al programma di protezione. Una vicenda che ora è un libro grazie all'ausilio del giornalista Giuseppe Lo Bianco

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