“The reader” ovvero l’apologia del nazismo

Ripensare all’Olocausto mettendosi dalla parte del boia. E dunque la domanda viene da sé: che colpa avevano i tedeschi se erano stati plagiati dalla propaganda nazista? Emarginare gli Ebrei era la legge e loro hanno giustamente rispettato le leggi dell’epoca. Non erano, insomma, consapevoli. Vanno dunque perdonati? In fin dei conti non tutti i nazisti e i fascisti erano cattivi: dovevano sottomettersi al regime altrimenti che fine avrebbero fatto? “I morti sono morti” ci dice Kate Winslet, “perché doversi sentire in colpa”?

 

Partire da questo presupposto significa cambiare la storia. Perché se c’è un regime dittatoriale non c’è niente da fare: o si è tacitamente d’accordo, quindi complici, o si è contrari, quindi partigiani. Non esistono mezze misure, purtroppo: la Resistenza non si fa in silenzio.

Né la propaganda è una buona scusa per annullare il senso critico a cui il cinema e l’arte dovrebbero educarci, senza produrre film che non sono altro che negazionismo storico.

Né se le leggi diventano razziali, questo ci impone l’osservanza meccanica: in Italia dovremmo allora sentirci in obbligo di bruciare i clandestini per strada (magari affidando il compito alle Ronde di Sicurezza & Salvaguardia della Padania Libera), qualora non li avessero già denunciati i medici?

Va da sé che stavolta Israele ha avuto ragione a lamentarsi scongiurando Hollywood di non premiare “The reader” agli Oscar. Ha avuto poco esito, dato che Kate Winslet ha vinto come miglior attirce protagonista grazie al suo ruolo sexynazista.

Ruolo, purtroppo, sempre più diffuso nel cinema contemporaneo: fascisti buoni e nazisti sexy, da Perlasca a Marco Tullio Giordana in “Sanguepazzo”, fino a Pupi Avati ne “Il papà di Giovanna”. Quando il revisionismo va di moda.

Ed è sicuramente il ruolo più inquietante del cinema dei nostri tempi. Ma non solo, basta guardare i giornali e le numerose foto-sexy di Amanda Knox…

 

Ma andiamo al film e a tutte le contraddizioni che il regista Stephen Daldry ha lasciato andare qua e là senza il benché minimo ritegno.

La storia è semplice: un bambino di 15 anni conosce una donna trentenne di cui si innamora senza sapere nulla del suo passato. Lei, dopo aver compiuto il reato di pedofilia, sparisce. Michael la ritroverà da studente universitario in un tribunale dove sarà processata per aver fatto bruciare vivi 300 Ebrei ad Auschwitz dove lavorava come sorvegliante.

 

Hanna Schmitz è però analfabeta, quindi quel rapporto (quello delle SS sull’incendio) non può materialmente essere stato scritto da lei. Ci sarebbero altre cinque imputate complici del delitto.

Ma lei si vergogna del suo analfabetismo e preferisce tacere.

Già, si vergogna di non sapere leggere e scrivere ma non si vergogna di avere ucciso 300 Ebrei. E questa è la prima contraddizione, che basterebbe a smontare il film.

Senza contare che, testimoniare il suo analfabetismo, non sarebbe stato un’attenuante per lei, come ci propina Daldry: il reato è reato e va scontato. Al massimo sarebbe stata un’accusa per chi l’ha fatta franca.

 

La seconda contraddizione è peggio della prima, se vogliamo.

L’attore (David Kross) ha sulla carta 15 anni. Ma vedendolo accanto a Kate Winslet non ci fa nessuna impressione. Il corpo è in effetti quello di un diciottenne.

Quando ricompare dieci anni dopo (dunque a 25 anni) Michael non è cresciuto per niente: Benjamin Button, Dorian Gray, o una regia e un trucco semplicemente sregolati?

Ma c’è di più: si è trattato di reato.

Per l’intero primo tempo il regista ci fa vedere numerose scene di sesso esplicito ingannando lo spettatore che non vede la pedofilia per quello che è (lo spettatore vede infatti non un bambino bensì un ragazzo) ma, al contrario, compiacendolo con il sesso. Insomma, oltre all’ipotesi “i nazisti in fondo non potevano farci nulla”, dobbiamo assumere per plausibile la pedofilia dicendo “forse si amavano”? Ed è proprio questa la cosa più aberrante di tutto il film.

 

E infine, per la gioia di tutti i traduttori, gaffe e controsensi da paperissima.

Siamo in Germania: Berlino, Heidelberg e una fotografia davvero notevole con paesaggi e riprese di un certo livello. I cartelli sono dunque scritti in tedesco, com’è giusto.

Ma i libri che i protagonisti leggono sono, ovviamente, in inglese. E così, quando Hanna impara infine a leggere e scrivere, non lo fa in tedesco (come sarebbe logico), lo fa in inglese. Ma che brava! Non solo sta imparando a leggere, ma sta imparando pure l’inglese!

Anche il titolo risente di una pessima traduzione: il film è tratto dal libro di Schlink, “Der Vorleser” che in tedesco significa appunto “leggere a voce alta”. “A voce alta” è infatti la traduzione del romanzo in Italia. Perché “The reader”? Perché, proprio in questa occasione, usare il titolo inglese se tutto si svolge in Germania? (tranne la lettura dell’Odissea, va da sé…)

 

Infine l’analfabetismo di Kate Winslet è simbolico. Ma anche qui: chi non sa leggere non ha gli strumenti per discernere il bene dal male? “The reader”, un film diretto da Stephen Daldry e sceneggiato da Gobineau…


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