La primissima e densa scena di The Aviator è poi quella che a piccole dosi sarà infiltrata tra i fotogrammi del film fino a dominarne l’ultima parte. Il piccolo Howard posto in verticale su di una tinozza mentre la mamma lo lava con ossessiva attenzione e lo mette in guardia dalle innumerevoli malattie infettive. Gli farà ripetere più e più volte la parola “quarantena”, scandendo ogni singola lettera. Martin Scorsese torna al grande schermo con l’ambiziosa ed impegnativa riproposizione della contraddittoria vita di Howard Hughes, mastodontico personaggio che fece parlare di se, a lungo e per svariate ragioni, l’America del post-depressione del ’29. Spericolato produttore cinematografico anni ’30 -’40 (si ricordano tra gli altri Hell’s Angel, Scarface) sempre con la mano al portafogli (per Angeli dell’inferno spese piu’ di 4 milioni di Dollari nel ‘27) e la lingua piccante, fu grande playboy in ambiente hollywoodiano (sue conquiste Katharine Hepburn, Ava Gardner, Jean Harlow) ed aviatore incosciente. Proprio il tema dell’aviazione è abbondantemente centellinato dal regista; un sogno quello di Hughes, destinato ad infrangersi ripetutamente. E’ il sogno di volare, palesemente metafora della parabola di un qualsiasi uomo d’affari e di successo come lui, o forse più semplicemente il sogno di un bambino schiacciato da un macigno di precauzioni igieniche. E così Howard volerà in alto, coi suoi film, con i suoi velivoli, ma precipiterà su di un campo, sui tetti di Beverly Hills, nella depressione, nel collasso finanziario-giudiziario, in quello sentimentale ed anche in quello psichico, rialzandosi ma ricadendo di nuovo nella sua follia.

Tre definizioni per questo film: lungo, noioso e ben fatto. Scorsese è un maestro della regia ed anche per questa pellicola si è affidato all’estro di uno stage designer come Dante Ferretti (Casinò, Kundun, Gangs of New York, etc.). Le scene sono limate alla perfezione e la direzione degli attori è come al solito, impeccabile. Ma il film stanca e molto lo spettatore, non solo per le tre ore e mezza di fotogrammi, ma soprattutto per il pretenzioso obiettivo del director newyorkese di ricalcare la vita di Howard Hughes quasi anno per anno. Forse qualche taglio qua e la avrebbe compattato una pellicola che davvero corre il rischio di stufare chi ha deciso di seguire le vicende della biografia del magnate cinematografico. Capitolo Di Caprio: Scorsese decide di proseguire con lui la sua parabola registica di questi ultimi anni, Gangs of New York aveva mostrato un attore in grandissimo rialzo espressivo ma forse un pò “leggerino” per pellicole impegnative. Qui gli viene accollato l’ingrato ma stimolante compito di personalizzare gli alti e bassi di uno stranissimo (e a detta di molti) cattivissimo personaggio e, se nella fase giovanile di Hughes convince la sua freschezza interpretativa, nel segmento centrale e finale sembra decisamente un pesce fuor d’acqua. Viste le componenti, comunque, film a caccia di Oscar.

Nota: si narra che nel 1941 Howard Hughes denunciò Orson Welles perchè la vita di Citizen Kane in “Quarto Potere” ricalcasse non poco quella sua fino a quel momento.

Riccardo Marra

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