«I tetti verdi rispondono a un cambio di paradigma, si lavora affinché non si formino più piene per via della pioggia». Questa la spiegazione a MeridioNews da parte del professore di Idraulica Enrico Foti, afferente al dipartimento di Ingegneria civile e architettura. Una svolta nel segno dell’innovazione quella del tetto verde, installato nel polo bioscientifico […]
Tetto verde, una soluzione per gli allagamenti ma «Catania non sta andando in questa direzione»
«I tetti verdi rispondono a un cambio di paradigma, si lavora affinché non si formino più piene per via della pioggia». Questa la spiegazione a MeridioNews da parte del professore di Idraulica Enrico Foti, afferente al dipartimento di Ingegneria civile e architettura. Una svolta nel segno dell’innovazione quella del tetto verde, installato nel polo bioscientifico di via Santa Sofia del dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania. Uno spazio di 900 metri quadrati sui quali sono state piantati oltre 1.500 tra arbusti e piante erbacee, corredati da tubazioni per l’irrigazione, una stazione meteo multiparametrica per il monitoraggio delle condizioni ambientali e delle casette per gli insetti impollinatori. Un’iniziativa che nasce dal progetto Gifluid, finanziato tramite il programma Interreg V-A Italia-Malta 2014-2020, di cui è coordinatore il professor Giuseppe Cirelli. «Si tratta del più grande tetto verde realizzato in Sicilia da una struttura pubblica – sottolinea Cirelli a MeridioNews -. La nuova tecnologia implementata a livello internazionale abbina due risultati». Da una parte, infatti, si punta alla riduzione dei flussi di pioggia, l’acqua viene trattenuta e usata per l’agotraspirazione delle piante. Dall’altra, invece, viene migliorata l’efficienza energetica degli edifici. «Per i nostri climi è un valore aggiunto» osserva il professore ordinario di Idraulica agraria e sistemazioni idraulico-forestali del dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente.
Una sfida comune per le comunità transfrontaliere di Malta e della Sicilia per ridurre il rischio idraulico e valorizzare la resilienza delle aree colpite dagli effetti del cambiamento climatico. Il tetto verde – già presente da qualche anno nel polo di Ingegneria – non è l’unico intervento realizzato dall’Università di Catania. Creati anche i giardini della pioggia e le pavimentazioni permeabili nel territorio di Aci Castello, nel sottopasso di via della Stazione, zona soggetta a ripetuti allagamenti. «I giardini sono aree verdi che favoriscono l’assorbimento – prosegue il professor Cirelli -. Il nostro problema idraulico è legato al consumo di suolo». Stando al parere dell’esperto, sono state impermeabilizzate superfici sempre più grandi comportando un aumento dei deflussi. In tal senso, le fognature e i sistemi di drenaggio non sono in grado di smaltire l’acqua che si raccoglie. La soluzione, quindi, consiste nell’integrazione tra infrastrutture tradizionali (come le fognature) e verdi (come il tetto verde).
Perseguendo la strada dell’innovazione, è già in cantiere un altro progetto, finanziato dall’Ue, a cui sta aderendo l’Ateneo catanese. Si tratta della realizzazione di infrastrutture verdi lungo la circonvallazione di Catania al fine di mitigare rischio idraulico in ambito urbano. «Faremo un intervento dimostrativo nell’area del tondo Gioeni e ci occuperemo di monitorare i lavori che interesseranno tutto il tratto fino alla rotonda dell’ospedale Garibaldi Nesima» prosegue Cirelli. Il progetto, a cui aderiscono 52 società in sinergia col Comune di Catania, si trova nella fase di redazione ed è iniziato a settembre, poi verrà valutato dai tecnici e verranno avviate le gare. Le fognature ci vogliono sempre e vanno solo integrate.
Si chiama Cardimed, durerà sei anni ed è la prosecuzione del progetto Gifluid che, invece, ha avuto una durata di 30 mesi. Il ritardo nelle innovazioni nel nostro paese secondo Cirelli è da guardare in positivo. «Nazioni europee molto più avanzate – spiega – si erano accorte di errori nella gestione delle acque piovane, raccogliendole e allontanandole con scarichi in fiumi e mari. Adesso, invece, tutti vogliono valorizzare queste acque tramite le città spugna». Queste ultime consistono nell’assorbimento dell’acqua piovana e nel riutilizzo successivo per l’irrigazione dei parchi, il lavaggio delle strade o ancora, per esempio, come laghetti di riserva antincendio. Un’idea già adottata in Cina da oltre 30 megalopoli. Nel caso specifico, Catania ha una peculiarità in quanto è composta soprattutto da vulcaniti, suoli molto permeabili che favoriscono il ritorno dell’acqua nel sottosuolo.
Dal punto di vista tecnico, il professore Foti, invece, si sofferma sull’effettiva possibilità di realizzare dei tetti verdi a Catania. «Secondo il principio dell’invarianza idraulica – afferma – non si può più impermeabilizzare il suolo o se lo si vuole fare si devono introdurre tecnologie innovative, ma non basta un solo tetto verde a risolvere i problemi di una città». Per il docente, infatti, ogni zona dovrebbe essere ripensata per favorire l’infiltrazione dell’acqua. Un esempio lampante sono le rotatorie presenti nella città etnea che sono sollevate rispetto al piano stradale e che, in questo modo, non aiutano a drenare le acque attorno ma solo quelle sopra. «Si dovrebbero adottare misure ulteriori che favoriscano l’infiltrazione delle acque – conclude Foti -. Non mi pare che siamo andati o stiamo andando in questa direzione».