Terzo Settore, nuova frontiera

Il cosiddetto Terzo Settore, conosciuto anche in letteratura come Terzo Sistema, sta suscitando sempre maggiore interesse perché composto da organismi che hanno un’ identità e una funzione relativamente nuova; essi non possono essere ricondotti né all’impresa orientata a fini di lucro, né agli enti pubblici.

Molto scarsa è oggi l’informazione e tanta la confusione che circonda questo nuovo mondo che tante possibilità ha da offrire.

 

Questo articolo nasce proprio con l’intento di portare più chiarezza sull’argomento.

Innanzitutto cominciamo a dire che il mondo no-profit è regolamentato dalla legge quadro sul volontariato n. 266 dell’ 11 agosto 1991 che recita testualmente: ”per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà”.

 

Quando si parla quindi del settore “non profit” ci riferiamo a tutti quegli organismi che operano secondo logiche diverse rispetto a quelle seguite dalle imprese tradizionali. Essi, pur essendo strutturati come vere e proprie realtà aziendali, non hanno alcun fine di lucro.

 

Potremmo definirli meglio come quelle organizzazioni, enti giuridici o sociali creati con lo scopo di produrre beni o erogare servizi, il cui status permette loro di essere fonte di reddito, ma non di profitto o altro utile di tipo finanziario per coloro che le costituiscono.

 

Fanno parte di questo settore diverse tipologie di organizzazioni: fondazioni bancarie e di ricerca, associazioni culturali e del tempo libero, cooperative sociali e di inserimento lavorativo, organizzazioni di utilità sociale, sanitari ed educativi, ambientale, museale e culturale, teatrale e artistico, gruppi di tutela delle minoranze etniche, centri di formazione professionale, enti lirici, musei, etc.

L’ambito di intervento del Terzo Settore è quindi quello dell’utilità sociale e in questa direzione nuove imprese si sono sviluppate, inserendosi così nel filone dell’economia sociale e dell’economia associativa.

 

Ma a questo punto la domanda nasce spontanea: Come mai questo nuovo settore sta avendo ormai da diversi anni uno sviluppo così alto?

La risposta è semplice e va ricercata indubbiamente nei progressivi processi di riforma e di ridefinizione del Welfare State. In particolare quest’ultimo punto sembra essere la causa più apparente dello sviluppo delle organizzazioni senza fini di lucro che, dinanzi all’incapacità dello Stato di dare risposte appropriate ai nuovi bisogni sociali  e di mantenere l’equilibrio fra funzioni e servizi richiesti dalla società e le reali potenzialità esistenti, hanno sentito l’esigenza di scendere in campo attivamente mettendo a disposizione le proprie capacità di promozione e di sviluppo sociale per dare risposte concrete e soluzioni efficaci  alle esigenze e ai problemi particolarmente degli strati più deboli della collettività.

 

Il Terzo Settore è quindi da intendere come un valido strumento in grado di integrare, o addirittura sostituire, l’attività dello Stato quando questo non riesce a soddisfare i nuovi bisogni sociali per il sovraccarico di compiti al quale è sottoposto; senza parlare del mercato il quale non riesce a venire incontro alle esigenze sempre nuove ed in continua evoluzione, a scapito sempre degli strati più marginali della collettività.

 

lI settore non profit appare oggi, in Italia come in tutta Europa e il nord America, quello tra i più attivi e dinamici. Le sue potenzialità, occupazionali, economiche e sociali trovano conferma nei dati che mostrano una sua crescita sostenuta, a cominciare dall’Europa, dove produce mediamente più del 3,5% del Prodotto interno lordo (Pil).

L’attenzione e l’interesse che negli ultimi anni caratterizzano il settore non profit sono dovuti essenzialmente alla capacità da parte delle sue organizzazioni di creare nuove opportunità di lavoro e di offrire un contributo rilevante alla lotta alla disoccupazione. Questo ruolo del Terzo Settore venne anche ufficializzato da Jacques Delors che nel suo Libro Bianco “Crescita, Competitività, Occupazione;” …) attribuiva allo sviluppo del Terzo Settore la creazione di più di 3 milioni di posti di lavoro entro il 2000. Previsioni che sono state in qualche modo rispettate e le cifre del potenziale occupazionale del Terzo Settore in Europa sono attualmente rassicuranti:

–  nell’Unione Europea vengono impiegate nei Terzo Settore circa 2,9 milioni di persone, con un giro di affari di 1.550 miliardi di euro. Il 5% dell’offerta di lavoro proviene da imprese senza fini di lucro e il 6,5% dell’occupazione nel settore privato è coperta da imprese non profit, senza considerare il fatto che dai primi Anni Ottanta l’offerta di lavoro proveniente dal Terzo Settore è molto più incisiva di quella delle imprese for profit. Il 61% dei posti di lavoro riguarda le cooperative sociali, il 31% le e associazioni e l’8% le mutue.

 

Per spiegare un tale successo la Commissione europea ha ricordato gli strumenti della nuova strategia comunitaria per combattere la disoccupazione, strumenti che sono stati recepiti dalle imprese del Terzo Settore più che dagli altri comparti produttivi e che hanno consentito il rapido sviluppo di tali organizzazioni. Tra questi strumenti, ricordiamo i contratti a termine e a tempo parziale, gli interventi a favore dello sviluppo locale sia sociale che economico, della difesa dell’ambiente, dell’innalzamento culturale, e infine le iniziative volte a promuovere l’uguaglianza e la parità fra i sessi.

 

Il potenziale occupazionale di cui dispone il Terzo Settore è testimoniato dalla decisione dell’Unione Europea di destinare una quota crescente del budget comunitario a tale comparto.

 

È ormai noto che la scarsità delle risorse pubbliche locali, regionali nonché di quelle nazionali volte agli investimenti condiziona, sempre maggiormente, lo sviluppo di un territorio già vittima di un enorme ritardo sull’asse Nord – Sud. Le uniche risorse disponibili fanno riferimento all’Unione europea che le gestisce secondo criteri sempre più legati alla capacità di programmazione, progettazione ed efficacia degli interventi.

 

Ecco che le Associazioni no-profit hanno l’obiettivo di spronare la comunità locale ad agire ed ingegnarsi per realizzare interventi sul territorio realmente apportatori di sviluppo e benessere collettivo. Tutto ciò mediante la creazione di una rete di risorse umane e attività associative che, facendo leva sullo studio, la conoscenza e l’ascolto delle singole realtà locali, creino un sistema capace di captare ed utilizzare quanto l’Unione Europea, l’Italia e le Regioni sono ancora in grado di offrire per lo sviluppo.

 

In questo scenario e con queste aspettative le Associazioni del terzo settore si pongono come “strumenti” al servizio della collettività e del territorio, “ponte” tra le Amministrazioni e le comunità locali, con l’ambizione di ridisegnare un ruolo attivo per i giovani e meno giovani chiamati ad essere attori protagonisti del cambiamento, in un contesto di partecipazione, concertazione e sussidiarietà.

 

Detto questo non rimane altro che abbandonare la nostra mentalità individualista e assumermene una consociativa e solidaristica, che oggi appare come l’unico strumento in grado di sopperire all’incapacità del nostro sistema di welfare, e soprattutto di fronteggiare l’urto della globalizzazione che dall’alto vuole imporre modelli sociali, economici, culturali che spesso si rivelano inefficaci se non calibrati e gestiti dal basso in rapporto alle reali esigenze di una comunità locale.

Fabrizio Rubino

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