Una condotta che per i magistrati palermitani rappresenterebbe solo una manifestazione di assenso, una condivisione rispetto a un'opinione altrui, e non ne aumenta quindi la pericolosità. E nelle carte, depositate oggi, bacchettano il primo verdetto che si sarebbe limitato a copiare l'informativa della Digos che fece le indagini senza apportare alcuna mediazione critica
Terrorismo, motivazioni assoluzione ricercatrice libica Giudici: «Un semplice like a un post non è istigazione»
Un semplice like a un’opinione altrui o a un post, seppure riprovevoli, costituisce solo una manifestazione di assenso, una condivisione, e non ne aumenta la pericolosità. Lo sostiene la corte d’assise d’appello di Palermo che a dicembre scorso ha assolto Khadiga Shabbi, la ricercatrice universitaria libica accusata di istigazione al terrorismo. Arrestata e condannata a un anno e otto mesi dal gup, la donna è stata completamente scagionata in secondo grado «perché il fatto non sussiste». Nella motivazione della sentenza, depositata oggi, i giudici bacchettano il primo verdetto che si sarebbe limitato a copiare l’informativa della Digos che fece le indagini senza apportare alcuna mediazione critica.
Per la corte, Shabbi accusata di aver fatto propaganda sui social alla causa jihadista, non avrebbe avuto alcuna intenzione di diffonderne il messaggio limitandosi ad esprimere opinioni generiche. Anche quando, dopo la morte in battaglia di un nipote, chiedeva vendetta. Una vendetta generica, secondo i giudici rivolta da una persona non collegata ad alcuna organizzazione terroristica a combattenti, persone, cioè, già impegnate in un conflitto. Shabbi – secondo i magistrati – era uno dei tanti utenti anonimi del web senza alcuna autorevolezza e dalle sue esternazioni non scaturiva alcun pericolo di commissione di reati terroristici.
«Finalmente la pacatezza, la serenità e l’applicazione del diritto hanno trionfato sulla suggestione, i castelli di carta e le presunzioni senza prove», aveva commentato il difensore della Shabbi, l’avvocato Michele Andreano. «Al momento debito – aveva annunciato in seguito – chiederemo il risarcimento dei danni al Viminale per l’ingiusta permanenza nel Cie di Ponte Galeria inflitta alla nostra assistita e allo Stato per l’ingiusta carcerazione subita». L’inchiesta sulla Shabbi prese il via da alcune segnalazioni. La polizia cominciò dal web denunciando una intensa attività di propaganda svolta dalla ricercatrice in favore di una serie di organizzazioni terroristiche islamiche come Ansar Al Sharia Libya, tra le maggiori oppositrici del governo di Tobruk, e del suo leader Ben Hamid Wissam. Interessatissima alle vicende politiche del suo Paese, Shabbi avrebbe visitato le pagine Facebook di diversi gruppi legati all’estremismo islamico e condiviso sul suo profilo social materiale di propaganda di organizzazioni terroristiche.