Terremoto del Belìce, ferite aperte e voglia di rinascita «Vogliamo mostrare quello che siamo in grado di fare»

15 gennaio 1968, ore 03:01: una data che ha segnato una triste pagina di storia per buona parte della Sicilia occidentale e che rimarrà per sempre scolpita nella memoria di ogni siciliano. Una serie di violenti sismi cominciati nel pomeriggio del 14 gennaio interessarono la Valle del Belìce, un vasto territorio compreso tra le provincie di Trapani, Agrigento e Palermo, per culminare con un evento di magnitudo 6.4 che, nel cuore della notte, devastò l’intera area stravolgendone per sempre morfologia, economia e futuro. 

Uno scenario da post-bombardamento fu quello che si mostrò agli occhi dei soccorritori che prestarono aiuto da tutta la penisola, dovendo far fronte innanzitutto all’impossibilità di raggiungere i centri colpiti a seguito dell’interruzione dei collegamenti a causa di crolli e strade che erano state letteralmente accartocciate dal sisma. Un bilancio catastrofico che vide la morte di centinaia di persone, migliaia di sfollati e innumerevoli abitazioni, monumenti e chiese completamente rasi al suolo.

Ma il tragico evento del 1968 accese i riflettori su uno scenario drammatico in cui versavano i paesi dell’entroterra occidentale dell’isola, un territorio fragile con abitazioni pericolanti e fatiscenti, un quadro ben noto allo Stato che, evidentemente, preferiva infilare la testa sotto la sabbia. Il peggio, però, arrivò negli anni successivi al sisma quando si aggiunsero anche i ritardi nella ricostruzione e nello stanziamento dei finanziamenti, lungaggini burocratiche, speculazioni mafiose e investimenti fallimentari. Nel frattempo interi paesi emigrarono e decine di migliaia di persone, all’inizio distribuite tra carri ferroviari e tendopoli, furono poi costrette a vivere per anni in baraccopoli, le ultime delle quali sono state smantellate soltanto nel 2006, ben 38 anni dopo.

Gibellina, Salaparuta, Poggioreale, Montevago, sono solo i più celebri dei comuni colpiti dall’evento e i cui nomi oggi rimangono nell’immaginario collettivo come simboli di luoghi fantasma, mete di fotoamatori che si recano tra le loro rovine abbandonate per immortalarne l’immobilità e il triste silenzio. Paesaggi deserti popolati da vecchi e baracche, monconi di strade mai terminate e che non portano da nessuna parte come l’Asse del Belìce, incompiute cattedrali nel deserto in piena campagna e tanta, tantissima desolazione.

«Sono tante le ferite rimaste aperte dopo il terremoto e tante ancora le opere da completare e da mettere in sicurezza», dichiara Nicola Catania, sindaco di Partanna e coordinatore dei sindaci della Valle del Bèlice. «La nostra terra è cresciuta tanto e ha imparato molto da quella drammatica vicenda. Non vediamo l’ora di fare vedere al mondo quello che siamo in grado di dare», continua il sindaco. Sono trascorsi 50 anni da quella fredda notte di gennaio, mezzo secolo di dolore, rabbia e oblio. C’è chi nelle tendopoli è nato e cresciuto per poi emigrare, portandosi dietro soltanto i racconti dei più anziani di quella che era la propria terra. Lo denunciava anche Danilo Dolci che «la burocrazia uccide più del terremoto». E infatti, dopo mezzo secolo si parla ancora di Sacco del Belìce, di ricostruzioni mai completate e delle colpe dello Stato che abbandonò per anni i comuni colpiti alla loro polvere.

Ma Belìce è anche e soprattutto speranza e tra le case a schiera tutte uguali dei nuovi paesi ricostruiti alla buona, distanti dai vecchi centri ormai cenere, sono tante le associazioni culturali e di volontari che credono ancora in una rinascita e puntano sull’enogastronomia, sui tesori naturalistici e sulla bellezza di una terra che cerca di reagire e di riscattarsi sia dalle catastrofi naturali sia dalle vergogne umane. 

Per ricordare il drammatico evento i 21 comuni della Valle del Belìce hanno promosso un fitto calendario di iniziative dal titolo Insieme per Costruire Bellezza. L’idea, nata dal Coordinamento dei Sindaci del Belìce e supportata da un Comitato Tecnico diretto da Tanino Bonifacio, prevede una serie di laboratori, mostre fotografiche, convegni, manifestazioni artistiche e culturali che prenderanno il via ufficialmente il 14 gennaio, con la cerimonia a cui sarà presente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nell’auditorium Giacomo Leggio di Partanna. La sera prima, però, antipasto con l’esibizione dell’attore Alessandro Preziosi, sul palcoscenico del Teatro Comunale di Sambuca, piccolo gioiello architettonico costruito nel 1848 e che si è miracolosamente salvato dalla furia del sisma. L’attore, accompagnato musicista Lello Analfino, leggerà testi di Leonardo Sciascia, Danilo Dolci, Don Antonio Riboldi, Giovanni Paolo II, Ludovico Corrao e Vincenzo Consolo, ma anche l’appello di solidarietà che Ernesto Treccani, Renato Guttuso, Bruno Cagli e altri firmarono per quella gente che aveva perso tutto. Altri eventi si svolgeranno durante tutto l’arco dell’anno con l’obiettivo di raccontare cosa è diventata oggi la Valle del Belìce, dopo la ricostruzione.

«Il cinquantesimo è senza dubbio un’occasione per creare promozione e sviluppo per il territorio», spiega il sindaco. «Nel ricordare le vittime, le fatiche ma soprattutto gli errori, si fa memoria per le generazioni future in modo da guardare avanti in maniera positiva. Questo sarà l’anno della bellezza perché tanta è la bellezza che il nostro territorio offre, in termini naturalistici, archeologici, museali; è una rete che è cresciuta grazie alla schiena dritta dei propri concittadini, di cui va premiata la dedizione, la costanza e l’amore per la propria terra» conclude il sindaco.

Michela Costa

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