Gli anni difficili della guerra, il lento cammino verso il boom economico, le contestazioni, l’epoca più vicina al nuovo millennio. Il tutto attraverso le parole in un italiano quasi inventato di uno scrittore inafabeto. Lui è Vincenzo Rabito, un contadino nato nel 1899 a Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa, con una passione innata per la parola scritta. Figlio di un tempo che vedeva nell’istruzione un mondo da conquistare e non un diritto, il suo primo successo è stato il raggiungimento della licenza elementare a 35 anni. Il secondo, quello più importante, la laurea dei figli. Nel 1967 inizia a scrivere a macchina pagine e pagine in una lingua estremamente influenzata dal dialetto: nasce così, sconosciuto al mondo, Terra matta. Legate con cura con dello spago, quell’insieme incredibile di parole separate – chissà perché – da un punto e virgola rimangono in un cassetto per vent’anni, dal 1981, quando Rabito muore. Quando i figli ritrovano il manoscritto ne intuiscono l’immenso valore storico e letterario e nel 2000 lo inviano al premio diaristico di Pieve Santo Stefano. Terra matta diventa quindi un piccolo caso letterario: nonostante il timore di non vederlo mai pubblicato, grazie all’interessamento del ministero per i Beni e le attività culturali ne viene realizzata un’edizione critica e nel 2007 viene messo in commercio da Einaudi.
Nasce quindi il progetto Terra matta: a partire dalla storia del contadino di Chiaramonte Gulfi, si avvia un processo di approfondimento storico delle tematiche affrontate. Dalla vita militare alla scuola, dall’emancipazione femminile alla politica, tutto diventa un possibile ambito da poter affrontare attraverso dati storici e testimonianze confluite nell’Archivio degli Iblei. Grazie anche a questo materiale è stato possibile realizzare anche il documentario terramatta; Il Novecento italiano di Vincenzo Rabito analfabeta siciliano della regista palermitana Costanza Quatriglio. Il suo lavoro, che ha ottenuto numerosi riconoscimenti, è stato presentato a Catania lunedì pomeriggio all’auditorium dell’ex Monastero dei benedettini.
«L’idea è nata grazie all’incontro con Chiara Ottaviano – spiega Quatriglio – Aveva ottenuto i diritti su Terra matta ed è innamorata dell’opera di Rabito». La storica di origini ragusane e la regista decidono quindi di lavorare ad una versione cinematografica di quello che inizialmente si temeva non potesse nemmeno diventare un libro. L’impresa è stata dunque «trovare una chiave di lettura, pensare a come si sarebbe trasformato in un film». Per Costanza Quatriglio è stato «un percorso difficile. Ho capito bene come fare solo quando ho visto la sua scrittura». Venire a contatto fisicamente il manoscritto, sfogliare quelle pagine senza margini né interlinea, ha dissipato ogni dubbio.
Nel documentario si alternano vecchi filmati conservati negli archivi dell’istituto Luce e spezzoni inediti, assieme a riprese di oggi nelle quali compaiono i figli di Rabito. Il percorso travagliato di un Paese narrato dallo stesso contadino, le cui parole sono lette dall’attore (anche lui ragusano) Roberto Nobile. «Il materiale è piegato alla luce del testo», continua la regista. Quelli che erano filmati propagandistici vengono ribaltati per raccontare un’altra storia. «Ho giocato con la memoria fotografica dello spettatore», spiega Quatriglio riferendosi anche all’uso di alcuni spezzoni girati in Super 8. Quelle che tutti ricollegano ai filmini di famiglia, qualcosa di intimo e privato. «Ho creato così un dialogo a livello emotivo».
Un rapporto creato anche con i figli di Rabito che hanno capito l’essenza del progetto: «Non abbiamo messo in fila le cose scritte dal padre», puntualizza la regista palermitana. Non si tratta della ricreazione della biografia di un uomo normalmente straordinario. «Vincenzo Rabito non è il protagonista, è il narratore. Tutto il film è in soggettiva e racconta la storia di tutti noi».
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