Termovalorizzatori, servirebbero sei anni Angelini: «Onerosi e non più strategici»

I termovalorizzatori, il male necessario che secondo il governo nazionale serve per smaltire 700mila tonnellate di rifiuti all’anno in Sicilia, dovrebbero essere pronti, se si faranno, in cinque o sei anni. La Regione siciliana ha una settimana di tempo per produrre alla Conferenza Stato-Regioni il dettaglio dei dati utili a completare il quadro della situazione dei rifiuti in Sicilia. Al momento, per come si è snocciolata la vicenda, sembrano un’arma di distrazione di massa piuttosto che una reale possibilità, anche se da Roma fanno sapere che non si torna indietro. Quanto in realtà sono attuali e possono rappresentare una soluzione all’attuale emergenza? 

In Italia sono presenti, in totale, 47 inceneritori, la maggior parte dei quali nella parte settentrionale della penisola e assorbono solo il 15 per cento dei rifiuti raccolti, cioè quattro milioni di tonnellate. A fronte di tutto ciò che viene emesso nell’atmosfera: diossine, frani, policlorobifenili, idrocarburi, policiclici, composti organici volatili, cadmio, mercurio. Secondo le priorità delle norme europee, il recupero energetico – derivante dalla combustione dei rifiuti con i termovalorizzatori – risulta da preferire al conferimento in discarica. Ma il processo di incenerimento (dalla raccolta allo smaltimento delle ceneri di scarto) consuma molta più energia di quanta ne occorrerebbe per valorizzare il rifiuto con il riuso (raccolta differenziata, trattamento e riciclo), come sottolinea l’associazione ambientalista Educambiente. 

Aurelio Angelini, docente di Sociologia dell’ambiente dell’università di Palermo, ecologista e direttore dell’Unesco Sicilia, traccia un quadro a tinte fosche dei termovalorizzatori: «Sono scelte che non servono nell’emergenza, ma nel tempo. Inoltre non sono più strategici e diventano onerosi dal punto di visto tecnologico, a conti fatti una filiera sulla differenziata ha costi più ridotti e un gestione più salubre. Anche perché le ceneri che si producono vanno comunque in discarica». Non è diversa la campana nelle parole di Marisa Meli, docente di Istituzioni di Diritto privato, che ha coordinato un laboratorio sulla gestione dei rifiuti, insieme alle associazioni Libera e Rifiuti zero: «Nella realtà siciliana – spiega – più che partire dalla coda, cioè dai termovalorizzatori, si deve pensare a una seria politica che riguardi la raccolta differenziata». La docente catanese ricorda anche i tentativi dell’epoca cuffariana: «L’esperienza del passato ci ricorda come la Corte di Giustizia abbia dichiarato nel 2007 l’illegittimità dei bandi». Per poi tornare all’oggi. «Siamo il fanalino di coda in Italia e in Europa per quanto riguarda la differenziata, ci ha superato persino la Campania, la terra dei fuochi, in termini di politiche serie. Senza contare che i termovalorizzatori sono molto meno produttivi del passato e non ci sono in Sicilia realtà tali da potere utilizzare l’energia che viene prodotta. Cominciamo con l’educare il cittadino, il rifiuto zero è difficile da ottenere, ma si tratta di far nascere una nuova cultura tra la gente».


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