Il tribunale ha restituito le aziende ai vecchi proprietari perché «legalizzate». Le società erano state sequestrate dal Ros dei carabinieri a febbraio 2016. Per i due colletti bianchi resta aperta l'inchiesta per la presunta corruzione negli appalti Anas. «Le amministrazioni devono all'impresa 40 milioni», spiega il sindacalista Giovanni Pistorio
Tecnis, giudici la restituiscono a Bosco e Costanzo Obbligo di comunicare i lavori oltre i 250mila euro
Tecnis e Cogip «sono state legalizzate» e tornano nelle mani dei vecchi proprietari: Francesco Mimmo Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice. A stabilirlo questa mattina sono stati i giudici del tribunale misure di prevenzione di Catania, con la corte composta da Rosanna Castagnola, Giuseppe Lamantia e Carlo Cannella. I togati si sono quindi allineati alla richiesta che era stata avanzata da Agata Santonocito e Antonino Fanara, magistrati della procura etnea, che a metà gennaio avevano sottolineato come fosse «venuta meno la pericolosità dei beni». Il risultato è stato ottenuto, secondo i pm, grazie al lavoro portato avanti dall’amministrazione giudiziaria delle società. A essere appetibili per Cosa nostra non sarebbero stati quindi i due colletti bianchi ma le loro società, ex colossi degli appalti con cantieri sparsi in Italia e nel mondo. Costanzo e Bosco nei prossimi tre anni dovranno rispettare una precisa prescrizione: quella di segnalare a questura e polizia tributaria tutte le operazioni con importi superiori a 250mila euro. Resta invece ancora aperta l’inchiesta Dama Nera, per la presunta corruzione negli appalti Anas.
Le aziende che oggi tornano a Costanzo e Bosco erano state sequestrate nel febbraio 2016 dai carabinieri del reparto operativo speciale etneo, nell’ambito di un’inchiesta aperta dalla procura di Catania. Sui due imprenditori pesavano le accuse «di essere asserviti a Cosa nostra mentre sostenevano di combatterla». Conclusione che aveva come fondamenta alcuni episodi emersi durante altre indagini, come Iblis. In questo elenco rientra per esempio la compravendita di un terreno nei pressi del carcere di Bicocca, a poca distanza dall’aeroporto Fontanarossa. L’obiettivo era l’ampliamento della struttura penitenziaria ma l’appezzamento di terra era di proprietà di Alfio Aiello, oggi in carcere per mafia e fratello del capo provinciale di Cosa nostra Vincenzo. L’affare in questione però si trasformò in una bolla di sapone. Ci sono poi le accuse legate ai cantieri nei pressi di Corleone, in provincia di Palermo, per la strada statale 118 Corleonese-Agrigentina. Lavori finiti al centro delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Pulizzi.
Era stato proprio l’ex boss di Partanna-Mondello a svelare anche i legami che avrebbero riguardato il capomafia etneo Angelo Santapaola e i pari grado palermitani Sandro e Salvatore Lo Piccolo. Tecnis e Cogip e le aziende associate sono state in mano allo Stato per 12 mesi. Dopo la prima scadenza fissata a sei mesi si era scelto di prorogare la reggenza per lo stesso periodo. A occuparsi dell’amministrazione è stato Saverio Ruperto, ex sottosegretario del governo guidato da Mario Monti. Sulla scrivania di Bosco e Costanzo adesso finiranno le procedure per tentare di sanare la situazione debitoria nei confronti di lavoratori e banche. Una boccata d’ossigeno potrebbe arrivare dalla riscossione dei pagamenti dovuti dalla pubblica amministrazione. «L’azienda dal punto di vista industriale è molto solida, ma c’è necessità di ottenere delle risorse finanziarie come lo sblocco di crediti per 40 milioni di euro da parte dello Stato», spiega a MeridioNews Giovanni Pistorio della Fillea Cgil. C’è poi la vicenda degli stipendi arretrati, un debito che sarebbe precedente all’amministrazione giudiziaria. «Il dovuto nei confronti dei fornitori è sceso da 80 milioni di euro a 16 milioni. Lo stesso per quanto riguarda le banche, con un passivo passato da 90 milioni di euro e 28».