Neanche la legge voto partorita dall’Ars a marzo 2013 ha sbloccato l’impasse. E il desiderio dei politici siciliani, rincorso a 50 anni dalla chiusura, rischia di rimanere tale. «Ci appelliamo al parlamento e al governo - dice Lino Leanza - Col casinò a Taormina moltissima gente non andrebbe a Malta»
Taormina, tanto Casinò per nulla La sala da gioco rimane un sogno
Fosse un film sarebbe Un casinò chiamato desiderio. È il destino di Taormina e della sala da gioco, un sogno atteso ormai da mezzo secolo. Sembrava la volta buona. A marzo l’Assemblea regionale siciliana aveva approvato la legge voto per la nascita di due casinò, rispettivamente nei comuni di Palermo e Taormina. Con il solo voto contrario dei 12 deputati del Movimento 5 stelle e cinque astenuti, la proposta di legge era stata salutata con entusiasmo dall’allora assessore al Turismo Michela Stancheris. A luglio la notizia dell’assegnazione alle commissioni riunite Affari costituzionali e Finanze e tesoro. Poi più nulla. «La legge non è stata ancora discussa – conferma Lino Leanza, primo firmatario – Bisogna sollecitare i siciliani al parlamento e al governo. Nei prossimi giorni insieme al sindaco di Taormina faremo un appello».
Eppure Taormina un casinò ce l’ha avuto: dal febbraio 1963 al gennaio 1965 villa Mon Repos divenne, seppur per breve tempo, il salotto per eccellenza dell’aristocrazia e del bel mondo internazionale. In un panorama mozzafiato la sala da gioco fu lo scenario perfetto per una dolce vita di felliniana memoria in salsa sicula. Ma intervenne la polizia a spezzare il sogno degli aristocratici locali, chiudendo il casinò in applicazione di una legge del periodo fascista che vieta il gioco d’azzardo non tanto per questioni di moralità quanto per il rischio di possibili turbamenti all’ordine pubblico.
Però lo stesso trattamento non è stato riservato alle quattro case da gioco del Nord, che continuano regolarmente a operare, seppur in perdita costante. La sala da gioco di Saint-Vincent, in Val d’Aosta, subì a un certo punto la stessa sorte di quello di Taormina ma venne dissequestrata con un atto amministrativo del governo di quella regione, per di più successivamente ratificato in vari gradi di giudizio, fino al pronunciamento favorevole della Corte di Cassazione.
E allora, sostengono i tifosi del casinò di Taormina, cos’ha la Sicilia in meno? Ricordando come la regione a statuto speciale potrebbe legiferare da sé l’immediata riapertura. Anche la Corte Costituzionale per ben due volte, nel 1985 e nel 2001, ha sollecitato con le proprie sentenze lo Stato italiano a riparare le iniquità. Ma nei fatti nulla s’è mosso. Fino a oggi. Ad ogni legislatura parlamentare non si contano i disegni di legge in tal senso. «Sarebbe un’opportunità unica per la Sicilia – sostiene Leanza – Moltissimi turisti non andrebbero più a Malta ma rimarrebbero da noi».
Le ricadute economiche e occupazionali, però, non sembrano interessare più di tanto i cittadini taorminesi. Facendo un giro in centro, molti commercianti sostengono che aiuterebbero più la defiscalizzazione e un maggior numero di servizi che il casinò. «I turisti qui ci sono – dice la titolare di un negozio d’abbigliamento – solo che non rimangono soddisfatti di come ci prendiamo cura di loro».