Tra i Comuni che aspirano a diventare sedi di sale gioco, c'è anche la città messinese. Richiesta inascoltata, tra dubbi per i rischi di infiltrazioni mafiose e incentivi al gioco d'azzardo. «Tutte argomentazioni pretestuose», secondo Gianfranco Bonanno, addetto stampa dell'Associazione nazionale incremento turistico
Taormina e il casinò che non c’è «Lo stato previene i rischi boicottando»
Da tempo Taormina fa parte dell’Anit, l’Associazione nazionale incremento turistico. Come viene esplicitato nell’omonimo sito, ne fanno parte i Comuni italiani che aspirano a diventare sedi di casinò. E per la fondazione di una sala da gioco a Taormina l’associazione s’è battuta e si batte da anni. Memori di tante e cocenti delusioni, l’atteggiamento rimane guardingo. Gianfranco Bonanno, addetto stampa del gruppo, getta benzina sul fuoco: «Il fatto che con il siciliano Angelino Alfano vicepresidente del Consiglio non si arrivi tuttora ad atti concreti è esemplare». E sottolinea «la schizofrenia dello Stato: per il mondo del gioco d’azzardo la competenza è del ministero dell’Economia, per i casinò rimane ancora disciplina degli Interni». Cioè aprire una sala da gioco è ancora una questione di ordine pubblico, retaggio d’epoca fascista ed equivoco mai risolto. Rispondendo ad alcune obiezioni, Bonanno conferma come la partita si giochi sulla volontà dello Stato, nei confronti del quale non nutre molta fiducia.
Con nuove case da gioco non si rischia di incentivare ulteriormente un settore già pericoloso per tanti?
«Queste sono argomentazioni pretestuose; semmai è lo Stato ad aver incentivato un malsano gioco d’azzardo. Prenda l’esempio delle macchinette: ce ne sono 450mila sparse sul territorio, ciò non ha nulla a che fare coi casinò (anche se sono stati proprio i casinò i primi ad ammetterle in Italia, ndr). Il casinò invece favorisce interazione sociale e non gioco solitario, processi produttivi virtuosi, competenze, riflessi sull’occupazione locale. A livello politico è un caso paradigmatico. Le case da gioco si trovano non a caso ai quattro confini».
Che vuol dire?
«Servivano a drenare paradisi fiscali; nel frattempo si sono consolidati altri interessi. Insomma, senza fare dietrologia, le lobby dei quattro casinò si sono rivelate nel tempo più forti».
Cosa aggiunge però, per tornare nello specifico a Taormina, un casinò in una città già molto frequentata dai turisti?
«Il turismo non è più un settore a destinazione unica, il casinò rientrerebbe nell’offerta, a completamento dell’insieme, favorendo la diversificazione e la destagionalizzazione della stessa offerta turistica».
Non sarà che lo Stato boccia la proposta di nuove strutture perché sono antieconomiche?
«La crisi dei casinò è la crisi di un modello di gioco non più aggiornato, veloce, automatico, elettronico; unico esempio di industria sempre uguale da cento anni. Così come sempre uguale, anche in questa accusa, è l’ipocrisia dello Stato».
E sul rischio di infiltrazioni mafiose paventato dalla Direzione investigativa antimafia e dal ministro Alfano?
«Anche queste sono dichiarazioni di facciata. Si fa presto a fare questo sillogismo, ma ormai i criminali sono diventati imprenditori del gioco. Anziché infiltrarsi, i mafiosi acquisterebbero direttamente il casinò. Compito dello Stato è tutelare, non prevenire boicottando».