Nel suo primo romanzo, Tangueria, Gianluca Reale racconta spezzoni di vite immolate al turbinio di serate, stage e festival, di sogni infranti e desideri sospirati che ricordano da vicino la vita ordinaria. Lo scorso sabato la presentazione al centro Zo
Tango e arancini, benvenuti a Balata
Milonga significa confusione, caos, litigio. E se è oramai diventata sinonimo di tango, sarà anche per questo che un romanzo intitolato Tangueria svela le passioni complicate, i riti compulsivi e gli incredibili tic di un mondo sconosciuto ai più, quello dei passi sfrontati e della sofferta musica argentina. Con una chicca che piacerebbe molto ai compianti Franco e Ciccio: il linguaggio colorito dei personaggi, dichiaratamente siculi, che farebbero da giusta cornice al buon vecchio “tango mizzichero”.
Gianluca Reale, giornalista catanese, è alla sua prima prova letteraria. Tangueria è uscito per i tipi di Bonanno (AeB) e mette insieme la vita del cronista di terza fascia Lupiño Caruso, impegnato a riempire le cronache di Rosa Tremila, il giornale gossip di Balata, cittadina di arancini e locali degni della migliore movida. Caruso è sposato con la bella e brava tanguera Teresita, ma è irrimediabilmente attratto dalla “pequena muy esplosiva” Rosa Zelig, anch’ella patita della pista.
Ci sono poi uomini e donne ordinari, che si trasformano in esseri speciali solo davanti ad un musicalizador.
Si chiamano O Rey Cazzotango, seduttore dal turpiloquio machista, Silvio Paletta il ballerino dalla sudata facile che “annaffia” le milonghe balatesi, il maestro Tete che insegna e impreca (e uno “si sente una merda tanguera”), le donne complesse come Milly la Slava, e persino gli Hermanos Macana, i due mitici fratelli che “ballano come cacano”, per usare – come fa spesso l’autore, in pieno divertissement- un’espressione degna della migliore tradizione oralpopolare ai piedi dell’Etna.
Sullo sfondo due tecniche di ballo che sembrano due partiti politici: abierto e serrado, perché l’ utilizacion y control del espacio en abrazo è fondamentale nel linguaggio dei corpi che si lasciano e si riprendono nel tango. E a Balata bisogna sapere di certo se si appartiene all’una o altra parte. Nel mezzo non si può stare, sarebbe una questione d’onore.
Una trama vera e propria in Tangueria non esiste. Gianluca Reale ha scelto di raccontare spezzoni di vite immolate al turbinio di serate, stage e festival, di sogni infranti e desideri sospirati che ricordano da vicino la vita ordinaria. Un balletto di cinquantenni sfiorite dal cuore caldo, di uomini sempre alla ricerca della nuova donna da conquistare, di vite grigie di giorno e infuocate di notte, sotto i fari colorati che tanto somigliano a quelli delle balere emiliane.
E poi il sabor suave del tango, quel “pensiero triste che si balla” che però in Tangueria è intinto nello stile di casa nostra. Altro che tempo milonguero e candide camicie bianche. Altro che disciplina spietata e umile voglia di imparare. A Balata tutti si sentono padroni della tecnica e dello spirito verace del tango, in perfetto approccio meridionale.
Non a caso, di tanto in tanto, tra le pagine di Reale riecheggia il monito di Vinicio o Rey Cazzotango che tanto ricorda il vizietto di certe province dell’arte: “A Balata? Maestri a minchia piena”.