Case moderne e meno inquinanti. Che permettano di risparmiare e siano anche più sicure. Era l’obiettivo inseguito da migliaia di cittadini che, però, si sono ritrovati a fare i conti con i cambiamenti dei bonus governativi. Dagli infissi all’installazione di impianti di energia rinnovabile, passando per gli involucri termici – come cappotti e facciate -, negli ultimi anni le città hanno visto un proliferare di ponteggi e operai. Almeno fino a quando le continue modifiche da parte del governo non hanno provocato confusione e un freno a nuovi investimenti privati. Per provare a fare chiarezza, ne abbiamo parlato con Salvatore Catania, ingegnere, amministratore di Structurae, società catanese che si occupa di servizi di ingegneria e architettura.
L’idea di bonus statali per permettere ai cittadini di migliorare le proprie abitazioni non è una novità di questi anni. «Sono nati nel 2013 per consentire le ristrutturazioni e l’efficientamento energetico – spiega Catania – permettendo di recuperare l’investimento tramite dei crediti di imposta, direttamente nel proprio cassetto fiscale, spalmati in un determinato periodo». Non un recupero diretto della cifra investita, insomma, ma un risparmio sulle tasse da pagare ogni anno. Almeno fino all’arrivo del Covid e ai numerosi decreti emessi dal governo per affrontare l’emergenza. «In quel periodo c’è stato un cambiamento: si è trasformato il credito in qualcosa di cedibile e acquistabile, ad esempio dalle banche, permettendo quindi di trasformarlo in denaro – continua l’ingegnere – E scatenando, come conseguenza, una corsa verso questo tipo di lavori». Un’età dell’oro dell’edilizia, che ha vissuto un vero e proprio boom economico, registrando il numero di quasi 80mila aziende in Italia, assunzioni record – unico settore in attivo in Sicilia per occupazione -, prezzi alle stelle e un maggior gettito fiscale tra Iva e tasse.
Una sorta di bolla che, però, a un certo punto si è sgonfiata. «Quando è emersa la scarsa corrispondenza tra le cifre dei crediti generati e i lavori effettivamente realizzati e collaudati. Un problema che non ha riguardato tanto il famoso 110 ma i bonus con meno controlli, come quello dedicato al rifacimento delle facciate, che non prevedevano una perizia tecnica precedente alla generazione del credito». Un meccanismo diventato opaco – con quasi il 60 per cento dei cantieri edilizi mai conclusi o con impianti mai o solo parzialmente installati – che la politica ha deciso di spezzare cambiando le regole in corsa, «per ben 21 volte». Senza però risolvere il problema e «provocando il fallimento di molte imprese», rileva Catania. Fino alla decisione finale di riportare il sistema allo stato originario: con crediti di imposta non cedibili. Di riflesso, la richiesta di lavori «si è abbassata dell’80 per cento», provocando non solo un problema economico al settore, ma anche il «rallentamento nel raggiungimento dell’obiettivo di autosufficienza energetica». E di sostenibilità ambientale.
Un programma dettato dall’Europa e nei cui confronti l’Italia si è assunta un obbligo: seguire un piano di decarbonizzazione con un taglio di metà delle emissioni fissato per il 2030 e la neutralità entro il 2050. «Il calendario europeo non è cambiato e, così, al nostro Paese rimane un problema da risolvere», commenta Catania. Problema la cui soluzione passerebbe anche dall’efficientamento delle abitazioni private che, «con interventi completi, sia dal punto di vista strutturale che tecnologico, sarebbero più efficienti del 50 per cento». In questo contesto, insomma, i bonus sarebbero «un ottimo investimento anche per lo Stato – continua l’ingegnere – per raggiungere la necessaria transizione ecologica. Tanto che andrebbero inseriti in un più ampio programma di infrastrutture, insieme a ponti, autostrade e ferrovie».
Con un particolare sforzo nei confronti della sicurezza. «Tema a cui è stato dedicato uno specifico Sisma bonus, che però ha ricevuto meno attenzione di altri, anche in zone particolarmente a rischio come quella etnea – commenta Catania – E che invece meriterebbe la massima concentrazione, tanto per gli edifici privati quanto per quelli pubblici». A determinare la scarsa fortuna dei lavori di ammodernamento delle abitazioni in chiave anti-sismica è, secondo l’ingegnere, un problema culturale: «Quando si acquista una casa ci si interessa della zona, di quante stanze ha, se è luminosa, ma non se sia sicura. Non è assurdo?», fa notare. Un problema che riguarda non solo le vecchie abitazioni, «ma anche le modifiche strutturali portate avanti negli anni – conclude Catania – come un piano in più o una parete buttata giù per fare spazio». Senza pensare, ancora una volta, alle conseguenze sulla sicurezza.
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