Il vuoto normativo diventa più grande ogni volta che la cronaca impone una riflessione sul tema. Come nel caso della morte della 46enne paternese Alessandra Giordano e dell'accusa a carico del presidente dell'associazione Exit Italia
Suicidio assistito, i dettagli dell’accusa a Coveri Depliant, email e l’ultima telefonata ai familiari
Il dibattito sul tema del diritto di scegliere come e quando morire resterà aperto finché non si colmerà il vuoto normativo. Intanto, il presidente dell’associazione Exit-Italia Emilio Coveri è indagato perché «determinava o rafforzava il proposito di suicidio […]. Intratteneva rapporti e conversazioni telefoniche, via sms e posta elettronica a far data dall’anno 2017 e ininterrottamente sino al 2019». La procura di Catania ne ha chiesto il rinvio a giudizio per l’istigazione al suicidio della 46enne paternese Alessandra Giordano. «Siamo convinti della sua innocenza – dichiara a MeridioNews l’avvocata Arianna Corcelli – e, stando a quanto emerge dagli atti, anche dell’insussistenza di ogni tipo di responsabilità penale».
«Nel fascicolo – racconta la legale – dai tabulati telefonici non emergono conversazioni, le mail sono bollettini informativi che vengono inviati a tutti gli associati e il tenore degli sms è neutro: “Sei tornato da Londra? Ho chiamato la clinica, ho bisogno di parlarti. Quando possiamo sentirci?”». Anche nelle comunicazioni trovate nel computer di Alessandra, che sono state consegnate agli inquirenti, non ci sarebbero chiare istigazioni: «Depliant, un opuscolo informativo e la tessera di socio di Exit-Italia», spiega Giuseppe Camonita, uno dei legali che – insieme a Marco Tringali, Anna Maria Parisi e Francesco Pantaleo – assiste la famiglia Giordano.
Durante l’interrogatorio, Coveri ha dichiarato che ai messaggi, saltuariamente, erano seguite delle telefonate. «Ad Alessandra, che aveva anche fatto il testamento biologico, su sua richiesta ho dato delle pure informazioni in merito alle possibilità che esistono in Svizzera – ricostruisce Coveri a MeridioNews – Il nostro compito lì finisce, perché siamo rispettosi delle leggi italiane. All’associazione – aggiunge – ogni settimana arrivano centinaia di telefonate di persone che noi possiamo informare ma non aiutare. Quello che mi fa più male è la mancanza di rispetto per la sofferenza altrui».
E sul fatto che Alessandra soffrisse sembrano esserci pochi dubbi. «Mi ha spesso confidato che non stava più in piedi», spiega Coveri. Insegnante di scuola primaria a Misterbianco, la donna da due anni non andava nemmeno più a lavoro. Soffriva di depressione e della sindrome di Eagle (una nevralgia facciale atipica). Da qualche tempo, aveva palesato anche ai familiari l’intenzione di ricorrere al suicidio assistito. «Era stata sottoposta a un trattamento sanitario volontario – sottolineano gli avvocati della famiglia – ed era stata ricoverata in Psichiatria da fine gennaio a fine febbraio».
È il 25 marzo quando Alessandra parte per Forch, – paesino svizzero nel cantone di Zurigo – dove si trova la struttura di Dignitas con cui ha già avuto un corposo scambio di mail per chiedere informazioni e inviare documenti. Alla richiesta di acconto, Alessandra avrebbe risposto che preferiva pagare tutto alla fine. L’iter però non lo prevede, così il 15 marzo dispone il bonifico. Due giorni prima di partire, chiama anche la parrucchiera che in mattinata va a casa sua.
Lo stesso giorno della partenza, i familiari fanno ai carabinieri una segnalazione di allontanamento volontario. Qualche giorno dopo, arriverà l’integrazione di querela per istigazione al suicidio. La sorella Barbara e il fratello Massimiliano, nel frattempo, sono stati in Svizzera. Prima di partire, lui invia una mail alla Dignitas con una diffida a portare a termine il suicidio assistito. Per tre giorni Alessandra non risponde mai né alle chiamate né ai messaggi in cui i familiari le chiedono di tornare indietro e se ha già fatto «le visite». Arrivati a Zurigo la mattina del 27 marzo, con il supporto delle autorità locali, i familiari rintracciano l’albergo dove la sorella ha pernottato e che ha lasciato intorno alle 9. Verso le 11 – tre ore prima di morire – è Alessandra a chiamare al cellulare di Barbara, risponde Massimiliano. Una telefonata di 46 secondi in cui lei «lo rassicura che era una sua libera scelta e gli chiede di accettarla».
Non è questo l’ultimo gesto di Alessandra. A mezzogiorno, manda un messaggio al fratello Francesco: «Vi prego di rispettare la mia decisione, comprendo il vostro stato d’animo e mi dispiace ma non sono in condizione di sopportare ancora dolori e sofferenze». Due ore prima di morire, poi, la donna dispone anche un bonifico bancario (di 15mila euro) in favore della madre. Dopo la richiesta del sequestro del conto corrente e dei beni di Alessandra e il rigetto del gip, «non risulta l’esistenza di un testamento né a favore di familiari né di enti e – dicono i legali della famiglia – nemmeno che abbia fatto lasciti alla Dignitas».