Un video, due audio e decine di richieste di aiuto. Oltre al racconto della vittima, alle dichiarazioni degli imputati e alle ricostruzioni di alcuni testimoni, sono questi gli elementi che hanno costituito le prove granitiche che hanno portato il gup Luigi Barone a condannare (a poco più di sette anni ciascuno, con il rito abbreviato) per violenza sessuale di gruppo ai danni di una 19enne statunitense Roberto Mirabella, Salvatore Castrogiovanni e Agatino Valentino Spampinato. Quest’ultimo è stato condannato per una seconda violenza, avvenuta nell’androne della palazzina dove la vittima era ospite come ragazza alla pari. Adesso, sono arrivate anche le motivazioni della sentenza «che ha ridato dignità alla mia assistita – ha commentato a MeridioNews l’avvocata Mirella Viscuso – che, dopo essere stata brutalmente violentata quella notte, è anche stata ripetutamente offesa durante il processo».
Il video. Il contenuto del filmato di pochi secondi registrato da uno dei ragazzi è la prova granitica. Si vede la ragazza che cerca di divincolarsi con la testa e spinge uno dei tre con la mano. Un altro le gira il volto e la trattiene saldamente per i capelli nonostante il rifiuto già espresso. Per il giudice sono immagini di «straordinaria eloquenza» perché mostrano i tre che, «ridendo e incitandosi reciprocamente, sovrastano la loro coetanea, la penetrano, mentre uno chiede a un altro di fare un selfie». Una scena che dimostra l’atteggiamento tutt’altro che consenziente della vittima e che «consente di vedere e udire la ragazza tirata per i capelli che emette gemiti, incomprensibilmente interpretati dalla difesa come “di piacere” – sottolinea Barone – ma all’evidenza di sofferenza soffocata dalla condizione nella quale la vittima si trovava: braccata dal branco dentro l’abitacolo dell’auto, incapace di opporre resistenza alle azioni estremamente invasive della propria sfera sessuale che stava subendo». Dall’altro lato, ci sono i tre imputati ripresi a «ridere e godere della sopraffazione sessuale completamente indifferenti alle reazioni, allo stato d’animo e al volere della vittima trattata senza alcun rispetto umano dai tre preoccupati soltanto di non sporcare la macchina con il liquido seminale e di immortalare la scena». Per i legali della difesa, nel video non solo non ci sarebbe dissenso da parte della vittima ma «quella presa per i capelli ben può contribuire a espandere il piacere». Per il giudice, però, quella scena non ha nulla a che vedere con la «letteratura erotica», come invece è stato sostenuto dagli avvocati difensori.
Gli audio. «No, non voglio. Basta, non voglio» è la frase che la vittima ripete più volte in italiano. «Sì che vuoi», risponde uno dei ragazzi. Anche in questo caso la difesa ha sostenuto che quelle parole troverebbero spiegazione nella «dinamica del rapporto erotico, come espressioni tipiche di piacere». Inoltre, i legali hanno sostenuto che il diniego della ragazza riguardasse non il rapporto sessuale ma il video che uno dei ragazzi stava registrando con il proprio cellulare. Anche in questo caso, però, il giudice ha ritenuto che questa interpretazione è «palesemente difforme dalla realtà», innanzitutto – ma non solo – perché l’audio è precedente di diversi minuti rispetto alla ripresa video. Dopo la quale c’è poi un secondo audio in cui si sente il singhiozzo di un pianto come rumore di sottofondo. «Non parlavo, stavo piangendo», ha raccontato la vittima. File audio che «conclamano il carattere violento dell’azione sessuale – spiega il giudice – non soltanto non consenziente, ma anche piegata nel dissenso verbalizzato con strozzati “non voglio” repressi da un perentorio “sì che vuoi”». Gli stessi imputati hanno riconosciuto che all’inizio la ragazza lo avrebbe detto un paio di volte anche se loro avevano inteso che comunque quel rapporto le stava bene.
Le richieste di aiuto all’amico, al 112 e al 911. Ulteriore conferma del dissenso della vittima arriva per il giudice dai reiterati tentativi di allertare le forze dell’ordine (undici chiamate in tutto) e un amico a cui invia anche la posizione gps. Lo stesso a cui, una volta rientrata a casa, durante la notte manda un sms con scritto «Ti odio», perché delusa dal non avere ricevuto nessun tipo di soccorso. La difesa ha sostenuto che tutte le telefonate non fossero un’effettiva richiesta di aiuto ma solo rivolte a «una preordinata determinazione a denunciare quanto appena accaduto, non accettato dalla ragazza soltanto perché immortalata o perché si era sentita abbandonata dall’amico». Una tesi che per il giudice manifesta «illogicità e incoerenza» rispetto a quanto si vede nel video e si sente negli audio. La ragazza ha chiarito che le chiamate ai numeri di emergenza riusciva ad attivarle dal proprio cellulare con il semplice tocco di un pulsante, che sentiva la voce dell’operatore ma non era in grado di parlare. In ogni caso, era convinta che anche in Italia come in America, la polizia arrivasse a prescindere dalla risposta del chiamante.
Il secondo stupro nel sottoscala. L’episodio avvenuto nell’androne del palazzo dove la ragazza era ospite di una famiglia catanese è emerso nel corso dell’udienza di convalida del fermo di Spampinato. «Stava male, però io me la sono presa per le spalle perché non riusciva nemmeno a camminare», ha raccontato il giovane ricostruendo la fase dopo lo stupro di gruppo a partire da quando escono insieme dal bar in cui la ragazza ha vomitato. È lui a riaccompagnarla a casa in motorino ed è «sotto le scale» dove avviene la seconda violenza. Lì i carabinieri hanno anche trovato tracce di liquido seminale. Sul punto, la vittima durante l’incidente probatorio ha dichiarato di non ricordare nulla. «Non posso escludere che sia successo, ma sicuramente qualora fosse successo non avrei prestato il consenso a un altro rapporto sessuale». Nonostante la tesi che la difesa ha provato a dimostrare puntasse sulla «buona fede del ragazzo che altrimenti non avrebbe raccontato l’episodio». Per il giudice si è trattato di un rapporto viziato dallo «stato di estremo malessere sia fisico che psichico in cui versava la giovane» di cui Spampinato ha approfittato.
La fase successiva. Gli avvocati della difesa avevano anche chiesto, senza ottenerla, una perizia psichiatrica sulla vittima ipotizzando un disturbo della personalità bordeline per dimostrare «la sua incapacità a testimoniare». Un punto su cui i legali hanno battuto molto sono stati anche i messaggi che la vittima scambia l’indomani con uno dei ragazzi che ha abusato di lei. Per i giudici sono spiegati con la «profonda sofferenza della vittima dilaniata e combattuta dal bisogno di piangere ed esprimere la propria rabbia e dalla contestuale illusione di normalizzare tutto facendo finta che non fosse successo nulla di grave». Nel corso della giornata, e soprattutto dopo la visione del video e dopo essersi confrontata con la madre e la sorella negli Usa, la 19enne matura «con una ritrovata lucidità» la decisione di denunciare tutto.
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