In primo grado, i tre poco più che ventenni sono stati condannati per violenza sessuale di gruppo a una 19enne statunitense. «La mia assistita sta provando a riprendere in mano la sua vita lontano da qui», racconta la legale Mirella Viscuso a MeridioNews
Stupro di piazza Europa, comincia il processo d’appello Avvocata: «Valutiamo di fare ascoltare gli audio in aula»
È stata fissata per venerdì 8 aprile la prima udienza del processo di secondo grado per la violenza sessuale di gruppo ai danni di una 19enne statunitense avvenuta la notte tra il 15 e il 16 marzo del 2019 nella zona del porticciolo Porto Rossi, in piazza Europa a Catania. A fare ricorso in Appello sono stati i legali dei tre imputati poco più che ventenni Roberto Mirabella, Salvatore Castrogiovanni e Agatino Valentino Spampinato. A conclusione del processo di primo grado, svoltosi con il rito abbreviato, il giudice per l’udienza preliminare Luigi Barone li ha condannati tutti e tre. Sette anni e due mesi per i primi due (per cui l’accusa aveva chiesto otto anni, ndr). Due mesi in più per Spampinato (la richiesta della pm Valentina Botti era stata di nove anni e quattro mesi), al quale viene contestata anche una seconda violenza sessuale, avvenuta nell’androne della palazzina dove la vittima era ospite come ragazza alla pari da una famiglia catanese.
«La ragazza è tornata a vivere negli Stati Uniti a casa della madre – racconta a MeridioNews l’avvocata Mirella Viscuso che la assiste – Sta cercando di riprendere in mano la propria vita: ha due lavori e sta seguendo un percorso importante per provare a rimarginare quella profonda ferita. Almeno per il momento – aggiunge – afferma che non tornerà mai più in Italia». Dove ha dichiarato di avere vissuto la notte peggiore di tutta la sua vita. Un’affermazione ancora più forte se si considera che la vittima aveva già subito in passato altre violenze. Mentre tutti gli imputati si trovano agli arresti domiciliari, come già avvenuto durante il processo di primo grado, i loro difensori hanno fatto di nuovo richiesta per una perizia psichiatrica sulla vittima per valutarne la capacità a testimoniare ipotizzando un disturbo di personalità borderline. Un’istanza che era già stata rigettata dal gup. Del resto, durante l’incidente probatorio, la 19enne è stata ascoltata per circa dieci ore in videoconferenza dagli Usa. Alla presenza di un interprete e di uno psicologo, la ragazza ha ricostruito quanto accaduto e confermato le accuse.
Una ricostruzione ritenuta attendibile che ha contribuito alla decisione del gup, insieme alle parole di alcuni testimoni e soprattutto alle prove costituite da un video, due audio e decine di richieste di aiuto. «Stiamo valutando se fare ascoltare le registrazioni in aula – anticipa l’avvocata Viscuso al nostro giornale – perché è lì che si sentono con chiarezza le richieste di aiuto della mia assistita». File audio in cui si sentirebbe anche la ragazza piangere e che, per il giudice, «conclamano il carattere violento dell’azione sessuale». In aula la pm aveva già mostrato gli ingrandimenti dei fermo immagine del video girato in auto in cui si vede la vittima che cerca di spingere con la mano il ragazzo che era sopra di lei e si sente pronunciare la frase «non voglio». Parole che secondo il collegio difensivo sarebbero da riferire non al rapporto che, dal loro punto di vista, sarebbe «nato con consenso», quanto piuttosto al filmato. Per la difesa, la ragazza non si sarebbe opposta ma avrebbe agito in modo strumentale per avere una prova da usare in suo favore. Così, sono state interpretate dagli avvocati difensori anche le undici chiamate al 112 e al 911 (il numero unico per le emergenze negli Usa) e i messaggi inviati alle uniche due persone conosciute a Catania, dove la ragazza stava da circa un mese.
Una tesi smentita del tutto nelle motivazioni della condanna in cui il giudice sottolinea che il video mostra un atteggiamento tutt’altro che consenziente della vittima e che «consente di vedere e udire la ragazza tirata per i capelli che emette gemiti, incomprensibilmente interpretati dalla difesa come “di piacere” ma all’evidenza di sofferenza soffocata dalla condizione nella quale si trovava: braccata dal branco dentro l’abitacolo dell’auto, incapace di opporre resistenza alle azioni estremamente invasive della propria sfera sessuale che stava subendo». Tutto questo mentre i tre imputati sono intenti a «ridere e godere della sopraffazione sessuale completamente indifferenti alle reazioni, allo stato d’animo e al volere della vittima trattata senza alcun rispetto dai tre preoccupati soltanto di non sporcare la macchina con il liquido seminale e di immortalare la scena». Il procedimento dovrebbe arrivare a sentenza già entro l’estate.