Prima della manifestazione contro la setta, al primo piano della palazzina in cui vive Pietro Capuana è stato esposta la scritta: «Noi siamo per la giustizia». Al microfono, intanto, veniva recitata la lettera di una delle minori. Guarda le foto
Striscione pro-giustizia nel palazzo dell’arcangelo Casa di Capuana sbarrata per il sit-in di protesta
«Noi siamo per la giustizia». Al primo piano della palazzina in cui vive Pietro Capuana oggi pomeriggio è apparso uno striscione. Fissato prima che, intorno alle 16, iniziassero ad arrivare i partecipanti al sit-in di solidarietà con le vittime della cosiddetta setta degli orrori, all’interno della quale – per anni – diverse minorenni sarebbero state abusate sessualmente dall’anziano santone tornato libero, a Motta Sant’Anastasia, dopo un periodo di detenzione. L’Associazione cattolica cultura ambiente, nel frattempo, ha ripreso le attività e qualcuno dei fuoriusciti ha scelto di iniziare a parlare, raccontando di baci sulla bocca «normali» e di festeggiamenti alla corte dell’uomo che si faceva chiamare l’arcangelo. In quell’edificio mottese di tre piani, in cui vivono persone vicine a Capuana oltre che lui stesso, le serrande sono tutte sbarrate e sui balconi non ci sono neanche panni stesi. Le automobili sono chiuse dentro al cortile, dietro al cancello automatico, e le targhe sono coperte con dei pezzi di cartone.
In mezzo alla piccola folla raccolta attorno a un microfono ci sono anche le mamme di due delle ragazze che hanno denunciato. Restano in disparte e non si mettono in mostra. Gli attivisti leggono due lettere: quella di una vittima e quella condivisa da alcune madri. Tra la gente qualcuno ha gli occhi lucidi. «Ho 17 anni e sono stata costretta a crescere troppo in fretta, per colpa di Pietro Capuana», comincia il messaggio di una ragazza, anonima, che sceglie di fare il nome e il cognome dell’uomo che l’avrebbe violentata. Per tre anni, spiega lei, non è riuscita a dire niente ai genitori: non è riuscita a spiegare perché si svegliava di notte piangendo e perché stava male. Quando lo ha fatto, è partita la macchina che nei prossimi mesi dovrebbe portare a un primo esito nelle aule giudiziarie.
«Ma per dire le cose come stanno non bisogna aspettare le sentenze – dice un attivista mottese – Noi siamo qui, oggi, per dire alle vittime: “Vi crediamo, sappiamo che dite la verità“. E c’è bisogno di farlo per via del silenzio delle istituzioni politiche e religiose». E anche perché, per qualcuna delle giovani che ha detto tutto, la vita non è semplice: allontanata dai genitori, rimasti fedeli all’autoproclamato arcangelo Pietro Capuana, e costretta ad andare a vivere in un’altra città. «Sappiamo che si dice che la denuncia è stata fatta per soldi, che le ragazze hanno inventato tutto e che Capuana è un santone – prosegue un altro cittadino intervenuto – Ma noi siamo dalla parte delle donne che hanno parlato». E che adesso, più che la giustizia divina, attendono quella terrena. Probabilmente diversa da come la intende chi ha esposto lo striscione.