Strage migranti: 180 morti, donne e bimbi intrappolati Solo quattro superstiti, per undici ore nell’acqua gelida

Undici ore. Tanto è passato prima che i soccorritori arrivassero e li portassero in salvo. «Undici ore in acqua, in balia delle onde, nell’acqua gelida». A raccontare la dinamica del naufragio avvenuto nella tarda nottata del 14 gennaio – a cavallo con l’alba del 15 – al largo del Mediterraneo, sono i quattro giovani sopravvissuti, tre uomini e una donna, di origine etiope ed eritrea. 180 non ce l’hanno fatta, tra loro una settantina di donne e una decina di bambini.

Il barcone sul quale viaggiavano i migranti avrebbe subito un guasto ad entrambi i motori, che si sarebbero spenti uno dopo l’altro. Poi ha iniziato a imbarcare acqua fino ad affondare. «I superstiti ci hanno detto che non c’erano secchi per tirare fuori l’acqua dall’imbarcazione che è affondata a picco – racconta a MeridioNews Marco Rotunno, rappresentante dell’Unhcr in Sicilia –. Dalle testimonianze raccolte è emerso che sono stati momenti di panico, c’era chi si spingeva, chi si aggrappava alla punta della nave rimasta in superficie». I quattro migranti – approdati ieri sera a Trapani a bordo di un vascello commerciale norvegese – sarebbero scampati alla morte reggendosi a delle tavole in legno e a dei giubbotti di salvataggio. «Erano emotivamente provati – spiega ancora Rotunno – vedendo gli altri affondare col passare delle ore, non credevano che ce l’avrebbero fatta». 

Uno di loro ha perso la moglie. «Ha cercato la donna che era al centro della barca insieme ad altre 70, ma non l’ha trovata – raccontano da Unhcr -. Ha visto una donna somala in pericolo e ha cercato di aiutarla, dandole ciò che restava del suo giubbotto di salvataggio. Le ore passano nell’acqua gelida, la donna somala stremata viene inghiottita dall’acqua. Molti si sono lasciati andare». Pare che il barcone, di due piani, fosse stato suddiviso in due scompartimenti: uno per gli uomini e uno, coperto, per le donne e i bambini. A bordo – stando al racconto di chi è rimasto in vita – c’erano sudanesi, somali, etiopi ed eritrei, quest’ultimi in maggior parte. 

Andrea Ciocca è il coordinatore del team di primo soccorso psicologico di Medici Senza Frontiere, presente alle operazioni di salvataggio. «Quando siamo arrivati al molo, le persone che abbiamo assistito erano molto scosse dall’orribile esperienza alla quale sono sopravvissute – dice –. Le centinaia di storie che abbiamo ascoltato negli ultimi mesi durante l’assistenza psicologica agli sbarchi sono di disperazione, di famiglie e vite spezzate, ma non ci abitueremo mai a questa enorme sofferenza».

Dall’inizio del 2017, già 219 persone hanno perso la vita durante il viaggio in mare. La traversata del Mediterraneo è diventata l’ultima strada della speranza per chi è costretto a fuggire in cerca di protezione, questo per l’assenza di vie legali e sicure per raggiungere l’Europa, secondo quanto accusa Msf. A quelli di quest’anno, vanno aggiunti più di cinquemila morti del 2016, fino ad ora l’anno più nefasto nel Mediterraneo centrale. 

Danilo Daquino

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