Randazzo, 22 gennaio 1993. Antonio Spartà (57 anni) e i suoi figli Pietro Vincenzo (27) e Salvatore (20) sono nell'ovile di famiglia quando vengono raggiunti da diversi colpi di lupara. Secondo le perizie, il commando che ha sparato era composto da almeno quattro persone. Ma il processo è finito con una sola condanna
Strage della famiglia Spartà, silenzio 25 anni dopo «Ho aspettato giustizia, ora ho perso la speranza»
Non sono bastati 25 anni a fare luce sulla strage della famiglia Spartà, avvenuta a Randazzo il 22 gennaio 1993. Quella mattina Antonio Spartà, 57 anni, Pietro Vincenzo, di 27, e Salvatore, di 20 anni, furono uccisi con dei colpi di lupara all’interno del loro ovile. Fino a oggi, gli assassini non hanno ancora un nome. Anche le perizie hanno evidenziato che a sparare fu un commando di quattro o forse anche più persone, con colpi sparati da diverse angolazioni. Ma due sole persone sono state indagate per l’omicidio plurimo: un processo si è concluso con una assoluzione e una condanna all’ergastolo. «Chiedo scusa a mio padre, a Pietro Vincenzo e a Salvatore – dichiara Rita Spartà – Perché nonostante gli anni trascorsi non sono riuscita ad avere giustizia».
A ricordare il caso è stata una commemorazione organizzata dal circolo didattico Don Milani di Randazzo, voluta fortemente dalla dirigente Rita Pagano, e dalla Fai antiracket di Sicilia. Presenti il sindaco Michele Mangione, il prefetto Vincenzo Panico, commissario per le vittime di Mafia, la sostituta procuratrice Assunta Musella, il vice prefetto di Catania Enrico Gullotti, e i rappresentanti della Fai antiracket Sicilia Tano Grasso e Renzo Caponnetti. Presenti anche rappresentanti delle forze dell’ordine. «Dal 31 dicembre ho perso anche la speranza – dichiara una commossa Rita Spartà, che in questi anni ha portato avanti una battaglia contro l’omertà, per avere una giustizia che finora non è arrivata – Sono passati 25 anni, tra dolore, paura, ma soprattutto la speranza che i colpevoli fossero scoperti. Ora ho perso anche quella. Io la verità la conosco, e negli anni ho portato avanti la mia battaglia, ma senza avere giustizia».
«Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini – aggiunge Spartà – in anni difficili in cui ho indicato gli uomini che ci vessavano. E l’ho fatto con onore e a testa alta». Alle sue parole fanno eco quelle di Tano Grasso: «È inammissibile che in un paese di diecimila abitanti, in cui tutti si conoscono, che gli assassini degli Spartà siano in giro, frequentino le stesse piazze, gli stessi bar e forse anche le stesse chiese dei familiari delle persone uccise. È inammissibile che Rita Spartà, qualche anno fa, abbia dovuto mettere un’inserzione a pagamento su alcuni quotidiani per chiedere ai cittadini di parlare, per sfondare un muro di omertà che a distanza di 25 anni è ancora intatto». La strage della famiglia Spartà è avvenuta, continua Grasso, «non per estorsione: ma perché il padre di Rita osò contestare in piazza il boss che gli aveva chiesto il pizzo. Per questo furono uccisi: per avere sfidato apertamente chi chiedeva di piegarsi».