Quattro arresti, due dei quali all'interno della famiglia catanese dei Salvo. È il risultato dell'operazione Lock out dei carabinieri, che questa mattina hanno fermato i presunti responsabili di alcuni fatti di sangue avvenuti nel paese ennese tra il 2008 e il 2012. Tutti causati da una guerra per il controllo del territorio
Strage Catenanuova, arresti tra i Cappello In pericolo il figlio di un possibile pentito
Associazione mafiosa, omicidio e tentato omicidio. È con queste accuse che questa mattina, nel corso dell’operazione Lock out, i carabinieri di Enna hanno arrestato quattro persone, tutte legate al clan Cappello di Catania. Tra i fermati Maria Giovanna e Matteo Salvo, rispettivamente classe 1973 e 1963, sorella e cugino di Giampiero Salvo, attualmente sotto processo per la strage di Catenanuova del 15 luglio 2008. E di Massimiliano Salvo, il presunto boss etneo del quale si è parlato, lo scorso febbraio, per la sosta sospetta della candelora degli ortofrutticoli a pochi metri dalla sua abitazione, nel corso delle celebrazioni per la festa di Sant’Agata. Assieme agli esponenti della famiglia Salvo sono stati arrestati anche Santo Strano, catanese classe 1966, e Nunzio Di Marco, nato a Regalbuto nel 1973 e residente a Catenanuova, in provincia di Enna.
Maria Giovanna Salvo e Santo Strano sono indagati per l’omicidio di Prospero Leonardi, avvenuto il 23 maggio 2012, e il contestuale tentato omicidio di Angelo Drago. A tutt’e due viene contestato anche l’aver «diretto e organizzato un’associazione mafiosa costituita e operante a Catenanuova e collegata al clan Cappello, in tempi diversi, tra il 2010 e il 2012». Strano è inoltre indagato, assieme a Matteo Salvo e Nunzio Di Marco per la strage di Catenanuova, nel corso della quale era morto Salvatore Prestifilippo Cirimbolo ed erano rimaste ferite altre cinque persone, delle quali una in modo grave.
A causare la strage, un regolamento di conti. Salvatore Prestifilippo Cirimbolo e il fratello Maurizio avevano minacciato alcuni esponenti del clan Cappello. I quali erano stati i loro referenti criminali a Catenanuova – paese dell’Ennese del quale il clan Cappello deteneva il controllo – e dal quale si erano affrancati, con l’obiettivo di rendersene indipendenti. Uno smacco che avrebbe dovuto essere punito in maniera esemplare. L’attentato, con un kalashnikov, era avvenuto nei pressi di un bar nel pieno centro cittadino. Per quei fatti sono stati arrestati, e sono tutt’ora sotto processo a Caltanissetta, Giampiero Salvo e Filippo Passalacqua.
Ma, dopo il 2008, il controllo di Catenanuova ha continuato a causare tensioni. Almeno fino al 2012, quando è stato ucciso Prospero Leonardi ed è rimasto ferito, nel corso dello stesso agguato, Angelo Drago. Secondo gli inquirenti, anche quella sparatoria era servita a ristabilire gli equilibri sul territorio. Perché Leonardi e Drago si erano opposti, per conto di Cosa Nostra di Enna, al predominio dei catanesi Maria Giovanna Salvo e Santo Strano. Nello specifico, Leonardi aveva preso contatti con esponenti mafiosi di altri centri. E non solo. Aveva avvisato alcune persone dalle quali esigeva il pizzo di essere il nuovo leader della piazza. Sperando in un sostegno da altri clan di Catania. Sostegno che invece non arrivò.
A raccontare i retroscena degli omicidi, uno degli imputati per la strage di Catenanuova, che nei giorni scorsi avrebbe accusato se stesso e altri. E il cui figlio, affidato a Maria Giovanna Salvo, sarebbe stato in pericolo di vita nel caso in cui suo padre avesse deciso di collaborare con la giustizia. Ma Davide Giugno, avvocato della signora Salvo, nega questa possibilità: «Allo stato attuale – dice – Non mi risulta che alla mia assistita siano stati dati in affidamento figli di altri. La signora ha lei stessa un figlio, ma non sono a conoscenza di pericoli per lui».
Nel novero degli arrestati, però, manca un altro uomo. Accusato anche lui di associazione mafiosa ma non ancora rintracciato. In queste ore proseguono le sue ricerche.