Il decreto del presidente del Consiglio Giuseppe Conte stabilisce che ogni attività produttiva non strettamente necessaria debba chiudere. Ma il colosso della microelettronica, che ha sede alla zona industriale etnea, non ferma le macchine
StMicroelectronics, la «classe operaia» resta a lavoro Dopo i due contagi, ora i sindacati vogliono la chiusura
«Ci hanno fatto credere per anni che la classe operaia non esistesse più, che gli operai e le operaie sarebbero scomparse, sostituite dai robot. Ora improvvisamente siamo diventati indispensabili ed essenziali». È lo sfogo di Rosy Scollo, delegata Fiom e lavoratrice della StMicroelectronics. La multinazionale con sede nella zona industriale di Catania dove, da quando si è registrato un primo caso di contagio da coronavirus di un lavoratore (adesso siamo già a quota due), i sindacati continuano a chiedere la sanificazione di tutti i luoghi di lavoro e la verifica dell’adeguatezza delle mascherine che vengono fornite agli operai delle sale di produzione.
Il decreto del presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte dello scorso 21 marzo stabilisce che ogni attività produttiva non strettamente necessaria a garantire beni e servizi essenziali debba rimanere chiusa. «Il punto fondamentale è proprio questo – ci tiene a sottolineare Scollo – La St non rientra tra quelle aziende». Nel colosso multinazionale (che oltre a quello catanese ha anche un sito produttivo ad Agrate Brianza, in provincia di Monza e Brianza), si producono microchip che poi, in molte parti del mondo, vengono assemblati da grandi fabbriche di automobili ed elettronica. «Siamo consci che ci sarà un domani – continua – quindi non chiediamo la chiusura totale ma di ridurre il più possibile la presenza di persone nello stabilimento».
Le presenze nello stabilimento adesso sono ridotte al minimo, tra telelavoro, ferie e congedi di vario tipo. Il problema riguarda però, in particolare, i dipendenti che lavorano nelle sale di produzione. Il 14 marzo, per questo, era già stato organizzato uno sciopero di protesta dovuto al rischio di sovraffollamento in azienda. «L’impressione purtroppo è che tutte le regole si fermino davanti ai cancelli delle fabbriche – prosegue Scollo – ma se non ci saranno lavoratori sani, non ci saranno neanche aziende sane». Altra richiesta che arriva all’azienda da parte delle sigle sindacali è quella di «tranquillizzare gli operai, che sono spaventati, fornendo i giusti dispositivi di protezione individuale».
La polemica sulla mancata chiusura dello stabilimento StMicroelectronics, nonostante le ultime indicazioni del governo sulle fabbriche, è arrivata anche sul tavolo del prefetto di Catania Claudio Sammartino. «Aziende come la StMicroelectronics – si legge in una lettera inviata dalla sigla sindacale Uilm a Palazzo Minoriti – provano a non fermare i propri impianti cercando cavilli interpretativi e tentando di farli passare come installazione produttiva a ciclo continuo». Cioè una di quelle strutture in cui è impossibile fermare i macchinari. Soltanto che, sottolinea il sindacato, se il ciclo continuo fosse una realtà per tutta la St allora i contratti dei lavoratori dovrebbero esserne lo specchio.
«Gli addetti alla produzione godono di un accordo a 21 turni ben differente dal ciclo continuo». Il che significa che, almeno loro, dovrebbero potere essere messi in cassa integrazione, in modo da smettere di affollare lo stabilimento della zona industriale di Catania. Al prefetto Sammartino, dunque, l’appello della Uilm: chiuda la St e permetta la sanificazione dell’impianto al completo, aree produttive e non. Il secondo dipendente contagiato dal Covid-19 e oltre una decina di lavoratori in quarantena, per il sindacato, sono un problema non solo per i lavoratori e per le migliaia di persone che orbitano intorno alla multinazionale della microelettronica. Ma anche, si legge ancora nella missiva, «per l’intero territorio catanese e, soprattutto, per il sistema sanitario locale».