Stato e mafia: tanta severità con Contrada, mentre sulla ‘trattativa’ infuria il valzer del garantismo

LEGITTIME LE TESI DEL LIBRO DEI PROFESSORI FIANDACA E LUPO. UN PO’ MENO COMPRENSIBILI I ‘FARISEI’ CHE, SUL PROCESSO DI PALERMO, SONO IMPROVVISAMENTE DIVENTATI GARANTISTI

Risulta di grande interesse il libro scritto dal giurista Giovanni Fiandaca e dallo storico Salvatore Lupo: “La mafia non ha vinto-Il labirinto della trattativa” (pagg. 154, euro 12,00), edizioni Laterza. Il volume affronta lo spinosissimo tema del processo – in corso a Palermo – sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia iniziata nel 1992 e finita – ammesso che sia finita – chissà quando.

Per la cronaca, questo processo vede imputati – con l’accusa di essere autori e complici del ricatto mafioso – boss di Cosa nostra come il Totò Riina, Brusca e Bagarella; poi ex alti ufficiali dei Carabinieri: i generali Mario Mori e Antonio Subranni; politici come gli ex Ministri, Calogero Mannino e Nicola Mancino (quest’ultimo è imputato di falsa testimonianza) e Marcello Dell’Utri.

Quest’articolo non è la recensione del libro dei professori Fiandaca e Lupo. Il nostro è il tentativo di avviare un ragionamento sui punti che riteniamo essenziali di questo volume. Per capire il perché le tesi legittime dei due studiosi trovano oggi tante porte aperte, quando invece, per fatti simili – che riguardano altri personaggi – le porte sono rimaste chiuse.   

Secondo gli autori del libro, il processo sulla trattativa tra Stato e mafia non sta in piedi. Alla Procura della Repubblica di Palermo viene rimproverato un atteggiamento “pregiudiziale” e “criminalizzatore” ispirato da “una sorta di avversione morale” verso “ipotesi trattattivistiche” che sono prerogativa del potere esecutivo, senza necessità di un previo assenso dell’autorità giudiziaria (frasi che noi citiamo prendendole dal sito d’informazione Blitz quotidiano).

Per il professore Fiandaca resta la domanda di fondo: “Ciò è sufficiente per escludere la possibile liceità di concessioni a Cosa nostra, trasformando negoziatori istituzionali operanti a fin di bene in una banda di delinquenti in combutta con la mafia?”.

Lo storico Salvatore Lupo, da parte sua, ammette che “la trattativa (tra Stato e mafia ndr) c’è stata, solo che purtroppo (per i boss, ndr) qualcuno si è rimangiato la parola”. Secondo Lupo, il piano storico-politico non va confuso con quello etico, né tantomeno con quello giudiziario.

Bene, noi, a scanso di equivoci – lo ribadiamo ancora una volta – non contestiamo le tesi dei professori Fiandaca e Lupo: tesi che condividiamo in alcune parti e non condividiamo in altre parti. A noi fa un po’ di impressione – anzi, fa tanta impressione – vedere lo stuolo di farisei che si è accodato a tali tesi. 

La cosa che dà molto fastidio è che molti dei farisei che oggi abbracciano le tesi dei professori Fiandaca e Lupo sono gli stessi che, non molti anni fa, si ergevano con il pollice verso sollecitando la condanna di Bruno Contrada, già numero tre del Sisde e, per anni, ai vertici della Polizia di Palermo.

Contrada – per quello che abbiamo capito noi – è stato accusato e condannato per aver intrattenuto rapporti con la mafia. A nulla sono valse le testimonianze – alcune anche molto importanti per la valenza dei personaggi – di chi ha difeso Contrada. E’ stato considerato colpevole, al di là di ogni ragionevole dubbio.

Per Contrada il confine degli uomini dello Stato impegnati nelle attività di intelligence non è mai stato labile: magistratura inquirente e giudicante hanno considerato Contrada un servitore dello Stato infedele. Punto.

L’ipotesi che Contrada operasse per conto di un potere esecutivo che non aveva “necessità di un previo assenso dell’autorità giudiziaria” non è mai stata presa in considerazione. Invece per i protagonisti della trattativa tra Stato e mafia tale ipotesi potrebbe essere presa in considerazione.

Perché? Perché per gli imputati del processo tra Stato e mafia tale ipotesi potrebbe funzionare, mentre per Contrada è stata ‘bocciata’?

Noi non abbiamo verità, ma solo dubbi. Nutriamo dubbi sul processo Contrada. Nutriamo dubbi sulla sua condanna. Perché pensiamo che – soprattutto in Italia – il confine tra lecito e illecito, per chi svolge attività di intelligence, non è mai chiaro.

I Santi sono in Paradiso. E quelli che passano da questa terra, di solito, non si occupano di intelligence. Alla fine, è inutile che ci giriamo attorno, Contrada non ha mai parlato. Non sappiamo se abbia tradito lo Stato italiano, ma abbiamo il dubbio – considerato che siamo in Italia – che potrebbe essere stato lo Stato italiano, attraverso Contrada, a tradire se stesso. Cosa, questa, non ci stupirebbe.

Ci stupisce, invece, che chi su Contrada non ha mai nutrito dubbi sulle sue responsabilità, vere o presunte, abbia trovato – grazie anche al libro dei professori Fiandaca e Lupo – due doti umanamente molto apprezzabili: il dubbio e il ‘giustificazionismo’ in ordine a comportamenti non propriamente cristallini, come certe telefonate arrivate dalle parti del Quirinale.

Un altro nostro dubbio è che il giudizio su certi comportamenti, alla fine, possa essere influenzato più che dall’oggettività dei fatti, dalla caratura dei personaggi, passando, così, dagli accadimenti nudi e crudi alla “misura di tutte le cose: di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono”…

 

 


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