ST Microelectronics: «Rischiamo il posto, il governo ci aiuti»

Chi scrive è l’RSU della ST microelectronics di Catania che, in quanto composta da lavoratrici e lavoratori di questo stabilimento, si sente franare il terreno sotto i piedi nell’indifferenza di governo e sindacati.

La ST microelectronics è una multinazionale che si occupa di microelettronica, dalla fase di progettazione a quella della costruzione dei cosiddetti “microchip”. Parte del capitale azionario appartiene agli Stati italiano e francese, si tratta di “golden share”, cioè di azioni che danno maggiori diritti rispetto agli altri azionisti.

La ST si occupa di diversi settori di mercato della microelettronica, uno di questi settori, sui quali ha puntato in maniera particolare negli ultimi 12 anni è quello delle cosiddette “memorie flash NOR”. Tale settore ha prodotto grandissimi profitti fino al 2003, dopodiché, ha cominciato un lento declino fino a diventare la “palla al piede” della multinazionale.
Nel 2000 ST progetta di costruire attraverso agevolazioni fiscali (credito d’imposta) che dovranno finanziare circa un quarto dell’investimento, uno stabilimento innovativo, che dovrebbe fabbricare fette di silicio (dette wafer) da 300 mm, che si chiamerà Modulo 6 (M6), garantendo in un accordo firmato l’assunzione di 1500 nuovi addetti.

Lo stabilimento doveva essere operativo già nel 2004, i lavori, però vanno molto a rilento a tutt’oggi l’M6 e’ uno scatolone vuoto.
Man mano che le memorie flash perdono di produttività, sotto lo sguardo indifferente dello stato italiano, il gruppo ST concentra tali produzioni tra l’Italia e Singapore, lasciando in Francia i prodotti ad alto valore aggiunto.

Nel 2005 ST dichiara la chiusura (entro il 2009) di uno degli stabilimenti situato a Catania (il più vecchio, chiamato CT6 e che produce wafers da 160 mm) e nel quale lavorano circa 1200 persone. I dipendenti “in esubero”, dovrebbero però andare a lavorare nel nuovo stabilimento (l’M6), dove quindi, nonostante gli accordi firmati, e sempre sotto lo sguardo indifferente dello stato italiano, “sfuma” la prospettiva di 1500 nuove assunzioni.

Maggio 2006, un cambio di governo: l’ST dichiara di essere pronta far partire l’M6, e’ solo in attesa di un’agevolazione fiscale (i termini della precedente erano scaduti nel 2006).

Dopo varie vicissitudini (una approvazione fatta dal governo di centro destra a fine legislatura, poi congelata dal nuovo governo e quindi risbloccata) il CIPE delibera a dicembre del 2006 un finanziamento di 446 milioni di euro per un contratto di programma per lo stabilimento di Catania.

L’RSU, dopo mesi di inutili richieste per un documento che dovrebbe essere pubblico, solo nell’aprile del 2007 riesce a leggere la delibera: si tratta di un finanziamento a fondo perduto senza alcun vincolo, né sul completamento del modulo 6, né sull’assunzione di nuovi dipendenti, né quantomeno sulle garanzie rispetto agli attuali dipendenti. Se è vero che la delibera del CIPE non è ancora il contratto di programma, è anche vero che è prassi trascrivere sul contratto di programma il testo delle delibere del CIPE, cioè se il governo non cambierà direzione la situazione rimarrà che abbiamo appena descritto. Nonostante le innumerevoli iniziative (tra le quali molte ore di sciopero e diverse manifestazioni pubbliche) la RSU riesce ad ottenere un incontro al ministero delle attività produttive solo nel gennaio 2007, ma tale incontro non subirà alcun effetto, anche perché il governo non si presenta e manda un funzionario, tra l’altro completamente estraneo alla vicenda.

 

22 maggio 2007: l’ST e l’INTEL annunciano che daranno vita ad una nuova società figlia della fusione di due loro costole (le “cessioni di ramo d’azienda” del settore delle memorie flash) e con la compartecipazione di un fondo cosiddetto “private equity”, il Francisco Partners. La NEWCO (cosí viene per ora chiamata la nuova compagnia) riceverà alcuni “beni” da ST e da INTEL ed in cambio dovrà sborsare circa 460 milioni di dollari a ST e 430 milioni di dollari a Intel. Per poter effettuare tali pagamenti accederà ad un credito di circa 1300 milioni di dollari e la Francisco Partners ci metterà 150 milioni di dollari. Quindi la nuova società nascerà con un debito enorme.

Parecchi analisti finanziari dubitano che la NEWCO possa trovare i soldi necessari per investire in ricerca e sviluppo, unica via di uscita se non vuole fallire nel giro di pochi anni in un mercato altamente competitivo e con una grossa compressione del margine di guadagno. Dove troverà inoltre i soldi per completare l’M6 (occorrono circa 1700 miliardi di euro)? La risposta di Bozotti (amministratore delegato di ST), e che la NEWCO troverà i fondi necessari. Dove e come non è dato saperlo.

Inoltre il designato amministratore delegato della NEWCO, vicepresidente di INTEL sottolinea che né ST né INTEL intendono investire nuove risorse nella NEWCO. Bozotti dichiara in conferenza stampa che il completamento dell’M6 dipenderà dalla domanda del mercato, se ci sarà domanda di mercato l’M6 sarà completato. E il governo delle “golden share”, il governo del finanziamento a fondo perduto che ascolta (e crede sulla parola) il Bozotti che assicura il completamento dell’M6 cosa fa quando lo stesso Bozotti, dopo aver ricevuto il finanziamento, mette in forse tale completamento?.

Per quanto riguarda le circa 2000 persone che in Italia passeranno da ST alla NEWCO Bozotti parla chiaro e dichiara: “se la NEWCO non avrà buoni risultati finanziari nel giro di 2-3 anni gli impiegati sono liberi di cercare un altro lavoro“. Gli analisti finanziari hanno pareri contrastanti, qualcuno mette in dubbio la solidità della scelta. Ma come è possibile che realizzando l’affare del secolo, cioè eliminare un ramo in perdita guadagnando pure un sacco di soldi (il pagamento che effettuerà la NEWCO) la ST non convinca?

Forse alcuni analisti finanziari non credono a queste cifre create artificialmente” e pensano che questi soldi non andranno reinvestiti in ST ma magari in superbonus per i top manager. Tanto quelli che potrebbero e dovrebbero controllare (sempre quelli che hanno le famose “golden share”) sono sempre molto distratti. Forse questi analisti sono troppo “malpensanti”. Certo che non sarebbe la prima volta che succede in Italia. Il caso Telecom è solo il più recente.

Cosa rimane a Catania di ST una volta “separate” le memorie?
Due stabilimenti, uno (il CT6) con un annuncio di chiusura entro il 2009 ed un altro (l’M5 che produce fette di silicio da 200 mm) senza un piano di investimenti, senza un piano industriale e già in regime di forte sottoproduzione (la produzione è diminuita del 30%). Nonostante tutti questi dubbi sull’operazione i politici si dichiarano soddisfatti dall’annuncio della “cessione di ramo d’azienda” (“positivo per il rilancio di Catania”.) e lo sono anche molti dirigentisindacali (“si chiude un periodo di incertezze”).

Gli unici ad essere seriamente preoccupati sono le lavoratrici ed i lavoratori, forse perché sono gli unici a rischiare il loro posto di lavoro, e l’illusione di poter avere una vita dignitosa senza essere costretti ad emigrare. Ci rivolgiamo quindi al governo perché prima che sia troppo tardi eserciti il proprio diritto e soprattutto il proprio dovere di tutelare “il pubblico interesse” attraverso le golden share e di vincolare i propri finanziamenti alla realizzazione del nuovo stabilimento produttivo. Forse si può ancora evitare che il sogno della microelettronica a Catania lasci un amaro risveglio.

Catania, 29 maggio 2007 RSU STmicroelectronics


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