«Una barca carica di significati. Un gozzo battezzato dall’artista catanese Alice Valenti, che per un anno si è occupata del restauro e della pittura, con il nome siciliano di Spiranza, che dà anche il titolo alla sua prima mostra personale, allestita nella galleria d’arte KōArt: unconventional place, nel cuore del centro storico di Catania, visitabile fino al cinque luglio. Diventata, in corso d’opera, uno strumento per denunciare l’irresponsabilità delle istituzioni riguardo la mancata tutela delle figure del mastro d’ascia e del pincisanti. Due antichi mestieri, omaggiati dall’esposizione, che la pittrice catanese ha riscoperto lavorando nello storico cantiere navale della famiglia Rodolico, una sorta di istituzione ad Aci Trezza.
«Mentre la figura del pincisanti, il pittore del paese che si occupava della decorazione delle barche o degli ex voto a fine Ottocento, è un mestiere ormai scomparso – spiega Valenti – quella del mastro d’ascia è una figura professionale che tuttora esiste. Ad Aci Trezza solo la famiglia Rodolico ha mantenuto questa antica tradizione, costruendo, ancora oggi, delle barche in legno che permettono di vivere il mare in maniera completamente differente rispetto al motoscafo o alle imbarcazioni in vetroresina».
Un’arte secolare, quello del mastro d’ascia, che si tramanda di padre in figlio e si acquisisce dopo anni di apprendistato. Una realtà che, però, ha dovuto fare i conti con la modernità, nonostante, dal 2014, le barche in legno di Aci Tezza siano state inserite nel registro delle Eredità immateriali della Sicilia. «Solo le amministrazioni comunali non capiscono l’importanza di questo mestiere – aggiunge l’artista -. Si è preferito investire su un mega parcheggio e su un porto turistico attrezzato anziché tutelare un cantiere che da generazioni rappresenta il volto vero e profondo dell’identità trezzota».
Una vicenda che ha spinto l’artista catanese a trasformare il suo iniziale desiderio di dipingere un’imbarcazione in un’operazione più personale: acquistare e dipingere un gozzo per dar voce a questo celebre cantiere navale. «Sono venuta a conoscenza di questa storia – prosegue Valenti – dopo averla ascoltata da un ottantenne che ha avuto una storia professionale ammirevole e che oggi si ritrova in debito con le banche e nella difficoltà di andare avanti, non perché manchi il lavoro ma perché è stato massacrato. Gli è stato negato – spiega – di usare gli scali di alaggio, le grandi travi di ferro che servono per varare o tirare a secco pescherecci più grandi, cosa che gli impedisce di costruire barche di una certa stazza. Una vera e propria ingiustizia».
Una rabbia che la pittrice catanese ha riversato nella decorazione del gozzo, creando un intreccio tra arte e vita, dove realtà apparentemente distanti sono capaci di dialogare e di trasformarsi in una denuncia dal forte significato civile e sociale. «Volevo che la barca veicolasse tutte quelle emozioni che il paese di Aci Trezza mi ha dato nel corso dei mesi», dice Valenti. Luogo narrato da Omero nell’Odissea, cornice dei Malavoglia di Verga e palcoscenico de La terra trema di Luchino Visconti, Aci Trezza ha offerto alla pittrice catanese diversi spunti di riflessione. «Sul tavolato, che è il pavimento della barca – racconta – ho deciso di scrivere delle frasi che ho estrapolato dall’Odissea, dai Malavoglia e da alcune lettere dei migranti, scritte in amàrico, che è la lingua dell’Etiopia, recuperate sui barconi grazie a un’associazione che si occupa di accoglienza a Lampedusa».
Dopo averle tradotte, la moderna pincisanti concentra nei suoi lavori le alterne vicende di chi affronta un viaggio in mare, scenario dell’eterna lotta tra vincitori e vinti. «Quello che accomuna questi scritti – continua Valenti – è l’incognita a cui va incontro chiunque intraprenda un viaggio su una barca o su una nave. Ognuno ha delle aspettative legate al miglioramento della propria esistenza e sussistenza. Il pescatore e il migrante, attraverso il mare, cercano una vita migliore, a cui si aggiungono le emozioni di chi rimane a terra, cioè quelle dei parenti o della famiglia. Il desiderio di tornare in patria o a casa – insiste la pittrice – è intrinsecamente legato al viaggio in mare».
Temi che si ritrovano anche nel video, di ventidue minuti, che accompagna la mostra e che la pittrice etnea ha impresso anche nelle sei tele esposte. «I quadri – spiega Valenti – sono un’area a posteriori dopo la pittura della barca e la permanenza al cantiere. Ho riversato su di loro tutte le esperienze maturate nel corso dei mesi, da quelle legate al cantiere, con il maestro Turi Rodolico che sta inchiodando la barca, a quelle legate al paesaggio, con i faraglioni che rappresentano questo luogo mitologico e primordiale. C’è anche un riferimento all’aspetto folkloristico, con il pesce a mare, che è una pantomima della pesca del tonno, e un omaggio a La terra trema di Visconti con le tre donne che attendono il ritorno dei pescatori».
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