A Siracusa la prima mensa solidale d’asporto: studenti dell’alberghiero al servizio dei più fragili

«Il cibo, si sa, è socialità, ma per noi adesso è anche solidarietà». I laboratori dell’Istituto alberghiero Federico II di Svevia di Siracusa sono diventati la cucina in cui preparare i pasti destinati alla prima mensa solidale da asporto nel capoluogo aretuseo. «E la nostra è la prima scuola in Sicilia a sperimentare un percorso formativo di questo tipo», racconta a MeridioNews il professore Sergio Tavini, che all’istituto alberghiero insegna Enogastronomia ed è il responsabile di questo progetto innovativo, che potrebbe essere capofila di altri percorsi scolastici simili nell’Isola.

Le materie prime, soprattutto locali e di stagione, vengono fornite dall’associazione Civica Aps; ai fornelli ci sono una trentina tra studenti e studentesse di due classi (quarta e quinta) del corso serale dell’alberghiero. Quando i pasti sono pronti – e confezionati in contenitori isotermici per gli alimenti – entrano in gioco i volontari della Croce rossa italiana, che li ritirano e li distribuiscono in tre diversi punti di raccolta in vari quartieri di Siracusa. Un tandem che funziona e che, almeno per due volte a settimana (il mercoledì e il venerdì), garantisce trenta pasti a chi non avrebbe nient’altro da mettere sulla tavola. Un’idea nata dal consigliere comunale Damiano De Simone nell’ambito di un piano di contrasto al fenomeno dell’indigenza e di reinserimento socio-economico, per favorire la partecipazione alle attività solidali. Un’iniziativa subito accolta della dirigente scolastica, Vittoriana Accardo, e formalizzata tramite protocollo d’intesa con l’associazione Civica Aps.  

«Per il primo servizio – dice il docente – abbiamo preparato un piatto semplice, che è alla base della cucina italiana e che difficilmente lascia scontento qualcuno: la pasta al pomodoro». Un’esercitazione che rientra nelle ore di laboratorio pratico per gli studenti e per le studentesse dell’Istituto alberghiero Federico II di Svevia di Siracusa. Giovani che aspirano a diventare cuochi e adulti, che le cucine professionali le frequentano già, ma puntano ad avere anche un titolo di studio. «Solitamente – spiega Tavini – i pasti cucinati durante le esercitazioni vengono poi mangiati dagli stessi alunni, serviti ai tavoli dai compagni che hanno scelto di fare l’indirizzo di sala. Il senso è che assaggiando si possa capire cosa si è sbagliato e dove migliorare». Dal sale ai tempi di cottura.

E questo aspetto rimane, perché «è ancora meglio assaggiare mentre si cucina». E avere poi dei giudici esterni. Ma c’è anche di più. «Oltre al legame con il territorio e con la tradizione culinaria, oltre alla storia della cucina italiana, all’attenzione per le materie prime, alle tecniche di cottura – sottolinea il professor Tavini – attraverso il cibo passano e vengono veicolate molte altre cose. In questo caso, soprattutto, l’impegno per la solidarietà». E non è però a senso unico. «Sapere di cucinare – e impegnarsi a farlo sempre meglio – per persone che lo apprezzeranno in modo particolare è un insegnamento di vita importante per gli alunni, che si sentono utili per la collettività, che trovano un posto all’interno della comunità. Lo è in particolare per chi dopo aver dovuto abbandonare i banchi di scuola ha deciso di tornarci. Il senso di condivisione della mensa solidale da asporto – conclude il docente – dà ancora più valore alla loro scelta».


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