I cittadini italiani che lavorano per il governo statunitense nelle basi Nato rappresentano un'anomalia legislativa: dipendenti di uno stato estero, non fanno parte della categoria pubblica e nemmeno di quella privata. E - per contratto - non possono scegliere il proprio sindacato: «Vogliamo far capire che le procedure italiane dovrebbero essere seguite», denunciano. Intanto temono i tagli che si stanno per abbattere su un comparto difeso da due sole sigle imposte da Washington
Sigonella, i guai dei lavoratori italiani Il sindacalista: «Siamo stranieri in patria»
Sono sparsi in tutta Italia tra basi della Nato come Aviano, Livorno, Napoli, Sigonella. I lavoratori civili italiani dipendenti del governo statunitense sono circa cinquemila e 800 di loro lavorano nella struttura di Lentini, ai confini della provincia di Catania. Il loro è un caso atipico: stipendiati da un ente estero, non sono dipendenti pubblici ma nemmeno possono essere inquadrati come privati. E i loro problemi sono altrettanto atipici. L’origine di molti dei mali che affliggono la categoria, sostengono, è l’esistenza nel contratto nazionale di due sole sigle sindacali alle quali poter fare riferimento, Fisascat Cisl e Tucs Uil. Inutile nemmeno nominare la Cgil, esclusa a priori nell’ottica statunitense anticomunista che ancora resiste. «Quando siamo stati assunti, nel contratto era inclusa una clausola con la quale dichiaravamo di non essere vicini all’ideologia comunista né ad associazioni o partiti ad essa riconducibili», racconta una dipendente che preferisce restare anonima.
«Dobbiamo sottostare a tutto quello che attuano questi rappresentanti», spiega Rosario Pellegrino, ex sindacalista nazionale della Tucs Uil e adesso coordinatore Libu – Lavoratori italiani basi Usa. «Una volta varcati quei cancelli siamo stranieri in patria». Finora, sostiene il coordinatore, l’azione dei due sindacati non è stata incisiva: «Le sigle esistenti hanno accettato passivamente – afferma – Non riusciamo a entrare nel merito delle loro decisioni». Decisioni che, in tempo di crisi economica globale, stanno portando inevitabilmente a tagli netti nei comparti meno necessari. «Le basi sono in notevole crisi e c’è in corso una revisione generale delle spese – continua Pellegrino – Abbiamo intuito che i tempi futuri saranno difficili». Periodi che solitamente vedono i sindacati in prima linea per la difesa dei lavoratori, ma che – secondo molti dipendenti e gli oltre 250 che hanno firmato la petizione online – non è per niente efficace.
In sede di contrattazione, spiega Rosario Pellegrino, «vogliamo essere trattati come italiani. Vogliamo far capire che le procedure italiane dovrebbero essere seguite». Eppure le dinamiche non funzionano così, denuncia. «Indicono una riunione per un argomento. Poi, senza che sia previsto nell’ordine del giorno, comunicano le decisioni». Che molto spesso hanno a che fare con cattive notizie. A ottobre «a Livorno sono stati licenziati in 41. A Sigonella si vocifera che l’anno prossimo ci saranno nuovi tagli». Senza la possibilità di scegliere un sindacato autonomamente, sostengono, viene meno la sicurezza dei lavoratori di poter essere difesi al momento della contrattazione.
Tasto dolente, dunque, è il contratto nazionale: stilato nel 1981, rinnovato alcune volte, ma adesso scaduto da tre anni. «Dovremmo essere tutelati, ma con questo contratto non è possibile». Un assaggio di quanto potrebbe accadere nei prossimi mesi a Sigonella, così come in altre basi d’Italia, è accaduto due anni fa: «Sono stati licenziati 26 dipendenti a Sigonella. Il piano iniziale prevedeva tagli per 60 unità, ma siamo riusciti a ridurre il numero».
[Foto di Irish Typepad]