Sicilianismo? Equivoco e irrazionale

Da qualche anno, sotto la spinta poco nobile di certa politica rivendicazionista, in maniera sicuramente rozza, è stata sottoposta a feroce critica l’interpretazione della storia Siciliana fatta propria e coltivata dalla grande letteratura isolana, cioè quella di una “Sicilia immobile”, dominata da un “continuismo” storico nemico del progresso. Al paradigma del trasformismo gattopardesco ha contrapposto il classico refrain del vittimismo di stampo sicilianista.

Da un’angolatura di ben altro spessore, in questo caso in modo scientifico, e spinta non dal banale interesse contingente che anima i primi, anche uno storico come Giuseppe Giarrizzo e la sua scuola, anche in risposta alla lettura che ne fa Denis Mack Smith, si sono sforzati di offrire una rinarrazione della storia siciliana che al “mito dell’immobilismo” sostituiva quello che Piero Violante sintetizza in “storia dinamica, policentrica, cittadina”. Un dinamismoche sarebbe verificabile in taluni significativi passaggi, in date emblematiche della vicenda storica siciliana. Una di queste date è certamente il 1812.

Il 1812 viene considerato l’anno del cambiamento per la Sicilia, una sorta di spartiacque fra un assetto politico-istituzionale che nell’isola si era prolungato per oltre cinquecento anni – se vogliamo trovare una data di riferimento più puntuale dobbiamo andare al lontano 1296, cioè al parlamento che elesse re Federico d’Aragona – ed un nuovo assetto che, formalmente, ne sanzionava il superamento.

“I siciliani, scriveva Giovanni Aceto enfatizzando il clima che si registrava dopo l’approvazione della Costituzione, espressero una inesprimibile gioia per questi cambiamenti, essi credettero di vedere nel 1812 l’inizio di un’epoca nuova che ne fissava le sorti e ne avviava la rinascita”.

La Costituzione approvata dal Parlamento siciliano, precisiamo che si trattava di un parlamento ancien régime, faceva, infatti, uscire la Sicilia dall’immobilismo del mondo feudale e la proiettava verso la modernità. Era questo, e per la più parte degli storici continua ad essere questo, il significato che si attribuiva alle vicende che, a partire dal colpo di Stato del 1811, avrebbero portato all’approvazione della Costituzione siciliana sulla quale Francesco di Borbone, luogotenente del Re con l’autorità dell’alterego, visto che re Ferdinando III si era autosospeso ritirandosi orgogliosamente nella tenuta della Ficuzza, aveva apposto la sua firma il 10 agosto 1812.

Una Costituzione, è opportuno precisarlo, non ottriata, cioè frutto di graziosa concessione del sovrano, come lo fu, ad esempio, lo Statuto albertino del 1848 ma, addirittura, imposta con l’appoggio di lord Bentick e dell’Inghilterra, allo stesso sovrano. Anche per questa ragione la Costituzione siciliana, come scrive Cettina Laudani nel suo bel volume ‘Appello dei Siciliani alla nazione inglese’, “testimoniò il tentativo di conciliare la tradizione culturale e storica siciliana e i suoi vecchi statuti con le consuetudini inglesi, senza divenire una mera imitazione o traduzione scritta di quella Costituzione”.

Perché proprio all’Inghilterra guardarono i Costituenti siciliani, primo fra gli altri quel Paolo Balsamo, “abate”come lo si denominava, che si fece carico di elaborarla materialmente. Ma la Costituzione siciliana del 1812, è opportuno precisare anche questo, non fu una mera imitazione di quella inglese, lo evidenzia lo storico delle istituzioni Andrea Romano, sottolineando che, essa Costituzione, fece anche proprie “esperienze europee diverse, anche disomogenee, diventando indice chiaro della diffusione ed assimilazione nell’Isola dei nuovi fermenti culturali legati alle dottrine giusnaturaliste, illuministe e fisiocratiche”.

Si può dire che, proprio la sensibilizzazione con i fermenti culturali del tempo, consentì al costituente siciliano di elaborare un testo originale che si poneva in linea mediana fra le spinte democratiche, quali erano state espresse nella costituzione spagnola di Cadice, e quelle conservatrici, o reazionarie, che troveranno accoglienza nel testo della costituzione francese, questa ottriata, concessa da Luigi XVIII, Borbone imposto sul trono di Francia dopo la tempesta napoleonica, il 4 giugno 1814.

Sottolineare queste differenze è importante, significa, infatti, ad esempio, rimarcare la distanza dalle istanze democratiche espresse in quella spagnola, e non tanto per sminuire o accentuare il valore, rivoluzionario o meno, di quanto i costituenti siciliani elaborarono, applicando un, a mio parere, poco opportuno giudizio di valore, ma per spiegare meglio l’impatto che la stessa Costituzione ebbe sulla società siciliana.

Infatti, da parte di una certa pubblicistica, giustamente appassionata alla grande novità, nell’enfasi della sottolineatura del nuovo, si è messo troppo spesso in secondo piano un aspetto evidente che considero particolarmente importante, e cioè che la Carta costituzionale del ’12 fu, in un certo qual modo, più che partecipata, subita dai ceti subalterni e che non comportò, come si potrebbe immaginare, alcuno stravolgimento positivo nelle condizioni di vita degli stessi, nel senso di un miglioramento economico o sociale ma, addirittura, con la cancellazione degli usi civici, ne ebbe un peggioramento.

A questo proposito scrive un’intelligente studioso “ non accademico” come Maurizio Rizza che la soppressione degli usi civici “…eliminò di colpo quei benefici di cui fino ad allora avevano goduto migliaia di famiglie povere o indigenti.”. Se volessimo dirla in poche parole, la vicenda relativa alla Costituzione interessò solo i ceti dominanti e quel ceto emergente, che non chiamerei borghese, le cui vocazioni, in gran parte, coincidevano con quelle dei gruppi che detenevano il potere. Più correttamente potremmo parlare, di una ulteriore, anche se decisiva tappa, viste le ricadute che avrebbe comportato, del conflitto fra il baronaggio siciliano e il riformismo centralizzatore borbonico, avviato con la monarchia di Carlo III, da personaggi come Bernardo Tanucci, che resse la politica del regno dal 1734 al 1776.

Un conflitto che aveva avuto un’anticipazione, in maniera plateale, oltre vent’anni prima, nella forzatura riformista dell’illuminato viceregno di Domenico Caracciolo di Villamaina e del suo successore Tommaso d’Aquino principe di Caramanico. Banalizzando, ci si troverebbe di fronte ad un raffinato e colto regolamento dei conti fra i baroni siciliani che imponevano – con l’affermazione di una nuova e ulteriore legittimazione, costituzionalmente sanzionata – la propria prevalenza nel sistema di potere isolano e la decadente monarchia borbonica – pochi ne sottolineano il progressivo declino – che, in quel momento, registrava un’ulteriore sconfitta e per questo motivo accumulava ulteriori motivi di rivalsa.

In un clima diverso, quello garantito dalla restaurazione, quei motivi di rivalsa avrebbero portato – con la emanazione de’ La legge fondamentale del Regno delle due Sicilie dell’8 dicembre 1816 – appena quattro anni dopo, alla forzata unificazione giuridica e territoriale dell’isola con la parte continentale dei domini dei Borbone e alla conseguente cancellazione dell’autonomia del millenario regno di Sicilia fondato da Ruggero nel 1130.

Senza entrare nel merito dello stesso testo per evidenziarne gli aspetti di continuità, che sicuramente appaiono prevalenti, se non altro per quanto riguarda gli assetti di potere, o di discontinuità, a nostro avviso minoritari rispetto alla tradizione siciliana – una tradizione consacrata, come afferma Rosario Gregorio, nel diritto pubblico – piace sottolineare come la Costituzione siciliana del 1812, elevata successivamente a manifesto dell’indipendentismo siciliano – ricordiamo che la stessa fu riesumata nel corso della rivoluzione del 1820 e, nella sostanza, anche in quella del 1848 – è stata spesso considerata il riferimento di quel fenomeno, ancor oggi presente nel nostro dibattito politico, che attraverserà, e spesso condizionerà, la storia politica dell’isola di questi ultimi due secoli.

Mi riferisco al cosiddetto sicilianismo, un equivoco sentimento irrazionale e acritico, figlio della cosiddetta “ideologia sicilianista”, tema magistralmente approfondito dagli studi di Giuseppe Carlo Marino. Il sicilianismo, basta dare un’occhiata alla storia siciliana per rendersene conto, ha fatto infatti troppo spesso velo, e lo ha clamorosamente già denunciato ai primi del novecento Napoleone Colajanni, alle incapacità proprie delle classi dirigenti siciliane quando, addirittura, non ne ha coperto e, perfino, giustificato i disegni meno edificanti.

Senza volerne sminuire la portata innovativa, la buona dose di “cambiamento”, che sarebbe scorretto disconoscere, ci preme, in conclusione, e sinteticamente, sottolineare come, attraverso lo strumento costituzionale adottato, i baroni siciliani, che incarnavano l’essenza della nazione siciliana, riuscirono a superare la crisi che attraversava in quella fase storica, l’assetto di potere presente nell’isola e a riproporre e, perfino, a rafforzare, in forme più moderne ed accettabili i consolidati e secolari equilibri e economici e sociali che hanno contraddistinto la singolare storia della Sicilia”.

 

Foto di prima pagina della Sicilia antica tratta da firenzestampe.com

Foto della Costituzione siciliana del 1812 tratta da libriantichionline.com

 


Dalla stessa categoria

Ricevi le notizie di MeridioNews su Whatsapp: iscriviti al canale

I più letti

Da qualche anno, sotto la spinta poco nobile di certa politica rivendicazionista, in maniera sicuramente rozza, è stata sottoposta a feroce critica l'interpretazione della storia siciliana fatta propria e coltivata dalla grande letteratura isolana, cioè quella di una “sicilia immobile”, dominata da un “continuismo” storico nemico del progresso. Al paradigma del trasformismo gattopardesco ha contrapposto il classico refrain del vittimismo di stampo sicilianista.

Da qualche anno, sotto la spinta poco nobile di certa politica rivendicazionista, in maniera sicuramente rozza, è stata sottoposta a feroce critica l'interpretazione della storia siciliana fatta propria e coltivata dalla grande letteratura isolana, cioè quella di una “sicilia immobile”, dominata da un “continuismo” storico nemico del progresso. Al paradigma del trasformismo gattopardesco ha contrapposto il classico refrain del vittimismo di stampo sicilianista.

Da qualche anno, sotto la spinta poco nobile di certa politica rivendicazionista, in maniera sicuramente rozza, è stata sottoposta a feroce critica l'interpretazione della storia siciliana fatta propria e coltivata dalla grande letteratura isolana, cioè quella di una “sicilia immobile”, dominata da un “continuismo” storico nemico del progresso. Al paradigma del trasformismo gattopardesco ha contrapposto il classico refrain del vittimismo di stampo sicilianista.

Da qualche anno, sotto la spinta poco nobile di certa politica rivendicazionista, in maniera sicuramente rozza, è stata sottoposta a feroce critica l'interpretazione della storia siciliana fatta propria e coltivata dalla grande letteratura isolana, cioè quella di una “sicilia immobile”, dominata da un “continuismo” storico nemico del progresso. Al paradigma del trasformismo gattopardesco ha contrapposto il classico refrain del vittimismo di stampo sicilianista.

Da qualche anno, sotto la spinta poco nobile di certa politica rivendicazionista, in maniera sicuramente rozza, è stata sottoposta a feroce critica l'interpretazione della storia siciliana fatta propria e coltivata dalla grande letteratura isolana, cioè quella di una “sicilia immobile”, dominata da un “continuismo” storico nemico del progresso. Al paradigma del trasformismo gattopardesco ha contrapposto il classico refrain del vittimismo di stampo sicilianista.

Dal controllo della velocità alla segnalazione di un imminente pericolo. Sono gli Adas, i sistemi avanzati di assistenza alla guida che aumentano non solo la sicurezza, ma anche il comfort durante i viaggi in auto. Più o meno sofisticati, i principali strumenti Adas sono ormai di serie nelle auto più nuove, come quelle a noleggio. […]

Un aiuto concreto ai lavoratori per affrontare il carovita. Ma anche un modo per rendere più leggero il contributo fiscale delle aziende. Sono le novità introdotte dalla conversione in legge del cosiddetto decreto lavoro, tra cui figura una nuova soglia dell’esenzione fiscale dei fringe benefit per il 2023, portata fino a un massimo di 3mila euro. […]

Sono passati tre anni da quando un incendio ha distrutto l’impianto di selezione della frazione secca di rifiuti a Grammichele (in provincia di Catania) di proprietà di Kalat Ambiente Srr e gestito in house da Kalat Impianti. «Finalmente il governo regionale ci ha comunicato di avere individuato una soluzione operativa per la ricostruzione e il […]

«Era come avere la zip del giubbotto chiusa sopra e aperta sotto: ecco, noi abbiamo voluto chiudere la zip di questo giubbotto». Indispensabile se si parla di Etna, dove fa sempre fresco. È nato così CraterExpress, la nuova proposta che permette di raggiungere la vetta del vulcano a partire dal centro di Catania, con quattro […]

Sul nuovo social network X, tale Esmeralda (@_smaragdos), commenta un articolo del Domani a proposito dei finanziamenti alla Cultura elargiti dai Fratelli d’Italia siciliani: «Amici, soldi (pubblici) e politica. In Sicilia tutto fa brodo. Su questo penso non leggerò un commento croccante di Ottavio Cappellani. Perché gli amici so’ amici, gli ex amici so’ nemici». […]

Dodici mesi, 52 settimane e 365 giorni (attenzione, il 2024 è bisestile e quindi avremo un giorno in più di cui lamentarci). Un tempo legato da un unico filo: l’inadeguatezza. Culturale, innanzitutto, ma anche materiale, davanti ai temi complessi, vecchi e nuovi. Difficoltà resa evidente dagli argomenti che hanno dominato il 2023 siciliano; su tutti, […]

Il seme del cambiamento. Timido, fragile e parecchio sporco di terra, ma è quello che pare stia attecchendo in questi ultimi mesi, dopo i più recenti episodi di violenza sulle donne. In principio, quest’estate, fu lo stupro di gruppo a Palermo. In questi giorni, il femminicidio di Giulia Cecchettin in Veneto. Due storie diverse – […]

Mai come in campagna elettorale si parla di turismo. Tornando da Palermo con gli occhi pieni dei metri di coda – moltiplicata per varie file di serpentina – per visitare la cappella Palatina e qualunque mostra appena un piano sotto, lo stato di musei e beni archeologici di Catania non può che suscitare una domanda: […]

Riforme che potrebbero essere epocali, in termini di ricaduta sulla gestione dei territori e nella vita dei cittadini, ma che sembrano frenate dalla passività della politica. Sembra serena ma pratica- e soprattutto, attendista – la posizione di Ignazio Abbate, parlamentare della Democrazia Cristiana Nuova chiamato a presiedere la commissione Affari istituzionali dell’Assemblea regionale siciliana. Quella […]

Dai rifiuti alla mobilità interna della Sicilia, che avrà una spinta grazie al ponte sullo Stretto. Ne è convinto Giuseppe Carta, deputato regionale in quota autonomisti, presidente della commissione Ambiente, territorio e mobilità all’Assemblea regionale siciliana. Tavolo di lavoro che ha in mano anche due leggi su temi particolarmente delicati: urbanistica e appalti. Con in […]

Dall’agricoltura alle soluzioni per il caro energia; dalle rinnovabili di difficile gestione pubblica allo sviluppo delle imprese bandiera del governo di Renato Schifani. Sono tanti, vari e non semplici i temi affidati alla commissione Attività produttive presieduta da Gaspare Vitrano. Deputato passato dal Pd a Forza Italia, tornato in questa legislatura dopo un lungo processo […]