«Lavorando nell’azienda agricola dei miei genitori ho iniziato a capire le difficoltà di chi vive la campagna. Poi ho pensato che tutti questi dati andavano raccolti e incrociati. Così è nata Smart Island». Maria Luisa Cinquerrui, 33 anni, di Niscemi, in provincia di Caltanissetta, è un’ingegnera informatica specializzata in Sistemi di telecomunicazione, con una passione per la robotica. Un campo che sembrava lontano da quello della sua famiglia, agricoltori da generazioni. Ma che invece ha trovato il punto di incontro – e di svolta – proprio nell’applicazione delle conoscenze ingegneristiche al settore agricolo: con una start up, nata nel 2014 e diventata a misura d’azienda nel 2017, specializzata in tecnologie per l’agricoltura di precisione. Dispositivi da installare in campo che inviano dati ad appositi programmi progettati per tirarne fuori delle indicazioni: dalla quantità d’acqua necessaria alle piante alle possibili malattie. E che sono anche in grado di operare, intervenendo sul funzionamento di altri strumenti, come ad esempio gli irrigatori.
«Ho iniziato a lavorare all’azienda agricola di famiglia mentre studiavo all’università, per dare una mano – racconta – Lì ho capito quanto sia complicato, tra difficoltà di gestione dei fabbisogni, costi e problemi di produzione». Aspetti spesso legati all’imprevedibilità della natura, ma che agli occhi di un’ingegnera si trasformano in dati. Da raccogliere, tracciare e analizzare, alla ricerca di soluzioni. «Per farlo serviva un dispositivo e così ho creato il prototipo di Daiki, sia dal punto di vista dei sensori da installare che del software che analizza i dati, un progetto che è diventato anche la mia tesi di laurea – racconta la giovane imprenditrice – Allora si trattava di un device che scansionava l’alimento per capire il grado di maturità ed eventuali malattie». Un prototipo migliorato negli anni successivi anche attraverso i percorsi di incubazione per start up innovative e la creazione di un apposito team di sviluppo. Una squadra che Cinquerrui punta a integrare soprattutto con le donne. «Sia per la programmazione tecnica che per il lato amministrativo e di analisi dei dati finanziari – spiega – Perché operiamo in un campo considerato doppiamente maschile, dall’agricoltura alla tecnologia, ma non è così e Smart island, partendo da me, è già un’azienda femminile».
Il prototipo universitario, intanto, è diventato Daiki modular platform, «un sistema modulare, a blocchi – spiega l’ingegnera – Una parte permette di gestire rese e costi, stimando eventuali risparmi di energia, acqua e risorse. Un’altra riguarda invece l’analisi delle colture e degli ecosistemi in cui vive la pianta». Dal monitoraggio di aria e suolo, compreso il tasso di umidità, per arrivare al colore del frutto, eventuali macchie sulle foglie o grandezza del fusto. Ma il dispositivo non si limita a rilevare la salute delle colture. Può anche intervenire per migliorarne lo stato e aiutare l’agricoltore a svolgere alcune operazioni. «Daiki può interloquire con altri sistemi – spiega Cinquerrui – Ad esempio con gli impianti di irrigazione a cui può dire di accendersi in un settore specifico e non in un altro. E, per farlo, non ha bisogno né di wifi né di corrente, ma nasce per essere utilizzato ovunque, anche in zone agricole con difficoltà di comunicazione, dispersione o cali di tensione».
Una situazione comune a molte coltivazioni siciliane, connesse tramite satelliti e ponti, esposti a rischi. «Che si traducono anche in cinquemila euro di concime sprecato per chi ha tanta produzione», commenta Cinquerrui. Un problema generale, legato non tanto alle tecnologie, ma alla mancanza di informazioni, secondo l’ingegnera. «Lo abbiamo sperimentato anche nella nostra famiglia, gli agricoltori si trovano abbandonati perché non hanno consulenti e manager che possano seguirli nell’innovazione», spiega. A mancare è una figura che Cinquerrui definisce agri-innovation manager: un progettista che studia i bisogni dell’azienda e aiuta anche a ottenere i finanziamenti per gli interventi. «Perché gli agricoltori vogliono investire, ma vogliono soprattutto toccare con mano l’utilità di una tecnologia nuova – conclude – Il settore è pronto, quello che manca sono la comunicazione e la formazione, sia sugli strumenti che sulle opportunità economiche per introdurli». Un vuoto che l’azienda di Cinquerrui prova a colmare, per rendere la Sicilia agricola davvero una smart island.
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