Sicilia, quasi una famiglia su 5 sotto soglia di povertà Boeri: «Il Ddl Regione su reddito minimo è generico»

Si stima che in Sicilia le persone sotto la soglia di povertà assoluta siano 954mila su 5 milioni di residenti (il 18,5% del totale), mentre le famiglie disagiate 320mila su 2 milioni (il 15,8%). Numeri allarmanti (elaborati su base Istat e riferiti al 2013), superiori nettamente alla media del Paese e anche a quella del Mezzogiorno. In Italia, infatti, l’incidenza della povertà assoluta delle persone sul totale dei residenti è pari all’8 per cento mentre per le famiglie è del 6,8 per cento. Il dato cresce al Sud (rispettivamente 14,8 e 12,8 per cento) ma lontano dai picchi della Sicilia. 

Una fotografia estremamente preoccupante quella che è emersa dal dossier curato dall’assessorato regionale al Lavoro e presentato stamane nel corso della tavola rotonda Nuove e vecchie povertà – Stato e Regioni verso il reddito di inclusione sociale: il Laboratorio Sicilia, all’Albergo delle Povere, a Palermo. Al confronto hanno preso parte, tra gli altri, il ministro del Lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti, il presidente della Regione, Rosario Crocetta, il presidente dell’Inps, Tito Boeri,  e Bruno Caruso, assessore regionale al Lavoro e alle Politiche sociali.

L’incontro è stato l’occasione per illustrare il disegno di legge concepito dall’assessorato, Misure di contrasto alla povertà assoluta, ancora da presentare in Assemblea, al fine di introdurre un sistema di interventi per ridurre il fenomeno della povertà assoluta. Un piano regionale triennale, racchiuso in 9 articoli, con il compito di individuare la platea dei beneficiari (famiglie residenti nell’Isola da almeno un anno con un Isee inferiore ai 12 mila euro) e istituire un reddito minimo familiare, oltre a interventi di politica attiva del lavoro. Riguardo la copertura finanziaria nel testo è indicato soltanto che saranno determinate «sulla base delle risorse regionali, nazionali ed europee disponibile». Un passaggio essenziale la cui vaghezza ha suscitato l’ironia del presidente dell’Inps Boeri che pur riconoscendo «l’atto di coraggio della Sicilia», ha definito il testo come «qualcosa di generico» e che non ha affrontato «il problema cruciale delle risorse e di chi seleziona i beneficiari».

Anche Poletti ha riconosciuto l’importanza di uno strumento come il reddito di cittadinanza sul quale da parte del governo centrale «c’è una discussione aperta», un tema che questo Paese deve affrontare perché «fino a ora le politiche sociali sono state categoriali ma, naturalmente, bisogna graduarlo e introdurlo con degli step che facciano i conti con le risorse. Ne serviranno altre – ha sottolineato – ma questo lo vedremo dentro la legge di Stabilità».

Ma il dibattito di oggi è stato anche l’opportunità per affrontare le questioni legate alla disoccupazione e le possibili soluzioni  per incrementare i posti di lavoro, caratterizzato da un vivace confronto tra i presenti, sull’efficacia reale del Jobs Act, la riforma del lavoro fiore all’occhiello del premier Matteo Renzi. Per Crocetta, infatti, in Sicilia «non funziona perché al Nord le aziende possono assumere a tempo indeterminato mentre qui non possono farlo perché vivono di appalti e commesse pubbliche». Insomma, per il presidente della Regione le soluzioni «non possono esser uguali per tutti» e occorre valutare altre soluzioni. 

Più ottimista Poletti che si è detto sicuro che il Jobs act «produrrà anche qui dei risultati perché il governo ha cercato di spingere con forza sul versante della stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Evidentemente il gap infrastrutturale della Sicilia è tale da non aver raccolto questa sfida ma sono convinto che la ripresa delle assunzioni accadrà anche qui».

Per Poletti, ad ogni modo, la via per uscire dalla crisi è rappresentata dalle riforme: «Il Governo – ha detto – deve mantenere la barra dritta sulle riforme senza lasciarsi influenzare dai risultati elettorali». Impossibile anche solo pensare di «sbandare e immaginare di cambiare il nostro impianto» perché questo Paese ha storicamente l’esigenza di «affidabilità e cambiare troppo rapidamente gli orientamenti rovinerebbe la reputazione nel Paese e all’estero». 


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