Non solo carenze gestionali. E non solo dell’ultima gestione emergenziale targata Renato Schifani. Nella stroncatura dell‘amministrazione idrica siciliana fatta dalla Corte dei conti ci sono anche molti rilievi strutturali. E una fotografia dello stato dell’acqua basata sui dati del 2024. Una situazione, quella in Sicilia, che «sul piano delle perdite delle reti idriche, appare preoccupante. Dato […]
In Sicilia si perde più di metà dell’acqua: la fotografia per provincia, tra fango e ritardi
Non solo carenze gestionali. E non solo dell’ultima gestione emergenziale targata Renato Schifani. Nella stroncatura dell‘amministrazione idrica siciliana fatta dalla Corte dei conti ci sono anche molti rilievi strutturali. E una fotografia dello stato dell’acqua basata sui dati del 2024. Una situazione, quella in Sicilia, che «sul piano delle perdite delle reti idriche, appare preoccupante. Dato che il valore medio riportato è del 52,36 per cento», scrivono i giudici. Oltre la metà dell’acqua della Sicilia, insomma, si perde. Mentre i cittadini di molte province vivono alle prese con rubinetti secchi, turnazioni e bidoni sempre pronti.
Le perdite idriche in Sicilia per provincia
Un dato di media, quello sulle perdite, che non rende giustizia alle difficoltà di alcuni territori. Maglia nera, nel complesso, è la provincia di Siracusa, con il 68 per cento di acqua sprecata. Non il dato assoluto peggiore, che si registra in parte del Catanese: quello a gestione Acoset, dove le perdite arrivano al 75,4 per cento. Va appena meglio con gli altri due gestori etnei: Sidra, che registra un 60,5 per cento, e Sogip, con il 68 per cento di perdite. Dati simili per le altre due città metropolitane dell’Isola: Palermo, con il 54,8 per cento di spreco idrico, e Messina, al 54,4 per cento. Fa peggio Ragusa, che sfiora il 60 per cento. Sotto la media regionale – ma comunque con performance non da premiare – Agrigento (51 per cento con dati del 2022) ed Enna (quasi 47 per cento). Chiude la virtuosa Caltanissetta (38,6 per cento).
Lo strano caso di Trapani
Curioso il caso di Trapani, tra le province più a secco della Sicilia: i dati non sono disponibili, ma la Regione stima un virtuosissimo 20 per cento di perdite idriche. «Si dubita dell‘attendibilità del dato – frenano i giudici – ancor più se confrontato con gli altri valori riportati sul territorio regionale». E con il fatto che, neanche un mese fa, è servito l’intervento emergenziale della protezione civile regionale. Con decine di autobotti e quattromila utenze da servire. Per non dire dell’estate: quando, già a inizio giugno, il sindaco invitava la popolazione a razionare l’acqua. A dare ragione ai giudici contabili, peraltro, è il dato che arriva da quattro Comuni della provincia: in media appena sotto il 50 per cento, tra l’estremo di Pantelleria (oltre il 64 per cento di perdite) e la buona performance dichiarata da Marsala (30 per cento).
I problemi delle infrastrutture: vecchiaia, detriti e bocciature

«Una macroscopica evidenza della gravità del deficit strutturale nella realizzazione e/o manutenzione delle opere idriche nella Regione siciliana». Sono, secondo la Corte dei Conti, le 773 richieste di interventi urgenti arrivate al Commissario nazionale: più della metà di quelle di tutta Italia. Due i problemi principali, secondo i giudici, degli invasi dell’Isola. Con «un’età media di 47 anni, e punte anche di 70 anni, e una manutenzione spesso non efficace». Le prime criticità sono materiali: dalla «ridotta capacità per la presenza di fango e detriti» agli impianti elettrici carenti. Le seconde, le limitazioni arrivate «dall’Ufficio dighe nazionale a causa delle omissioni e dei ritardi nelle opere di manutenzione». Oltre alla «mancanza di collaudo statico o di verifica sismica» di molte dighe, anticipata da MeridioNews.
Le 45 grandi dighe siciliane: neanche la metà in esercizio normale
La fotografia è, anche stavolta, impietosa: delle 45 grandi dighe siciliane solo 21 sono in esercizio normale. Delle altre: 8 sono in esercizio limitato e 3 fuori esercizio. Spiccano, poi, le 11 in esercizio sperimentale, cioè senza collaudo tecnico speciale. Non per ritardi burocratici, affondano il coltello i giudici contabili, ma proprio per «carenze manutentive o di sicurezza, o ancora problemi tecnici irrisolti dal gestore-concessionario». Due dighe, infine, risultano in costruzione: ma, in un caso, «interrotta da decenni». Così come incompiute sono rimaste altre tre grandi dighe. Due nel Palermitano: la diga Blufi a uso potabile, sull’omonimo torrente, e la diga Piano del Campo, a Corleone, sul fiume Belice destro, per uso irriguo. Stessa destinazione d’uso dell’incompiuta dell’Agrigentino: la diga Laura, sul torrente Mendola, in territorio di Campobello di Licata.