Società, strutture alberghiere, 38 immobili, quattro terreni, una grande villa a Mondello, rapporti bancari e polizze vita. La Direzione investigativa antimafia ha sequestrato il patrimonio dell'83enne ritenuto appartenente a Cosa nostra. Guarda il video
Sequestro da 30 milioni di euro a Giovanni Pilo Imprenditore edile condannato nel maxi-processo
Trenta milioni di euro. A tanto ammonta il sequestro che la Direzione investigativa antimafia di Palermo ha eseguito nei confronti di Giovanni Pilo. L’83enne imprenditore edile residente a Guidonia Montecelio (in provincia di Roma) nel 1976 e nel 1985 è stato sottoposto alla sorveglianza speciale per i gravi indizi di appartenenza a Cosa
nostra.
Il sequestro ha riguardato i beni intestati a lui, alla moglie e al figlio ritenuti di provenienza illecita. In particolare, l’intero capitale sociale e il relativo compendio aziendale di cinque società di capitali con sede a Roma; le quote di partecipazione in due società di capitali nel settore immobiliare e delle costruzioni edili; due strutture ricettive alberghiere: una pronta a Ladispoli (in provincia di Roma) e un’altra, ancora in corso di definizione, a Guidonia Montecelio; 38 immobili, alcuni locali commerciali e quattro terreni fra Palermo, Terrasini (Palermo), San Vito lo Capo (Trapani), Roma e Dello (Brescia) e una grande villa a Mondello (Palermo); sei rapporti bancari e cinque polizze vita.
Per Giovanni Pilo erano già stati accertati collegamenti con Calogero D’Anna, esponente mafioso della famiglia di
Terrasini; rapporti con la
famiglia Gambino, inserita nella famigerata cosca della Noce. Tra l’altro Pilo nel 1974 ha sposato Anna Gambino, sorella di Giacomo Giuseppe – detto
‘u tignusu – capo del mandamento di San Lorenzo e componente della commissione
provinciale di Palermo di Cosa nostra.
Inoltre, erano già stati accertati stretti rapporti con Francesco Cinà, esponente mafioso della famiglia di San
Lorenzo, a cui aveva dato disponibilità di una villa, nella quale venne ospitato anche l’allora latitante
Leoluca Bagarella (secondo quanto riferito dal defunto mafioso
Leopoldo Di Trapani), e detenute illegalmente
armi e munizioni. A seguito delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Tommaso Buscetta,
Salvatore Contorno e Salvatore Anselmo, fu rinviato a giudizio nell’ambito del maxi-processo
e successivamente condannato a
sette anni di reclusione per partecipazione ad associazione
mafiosa
.
Le indagini patrimoniali svolte dalla Dia hanno consentito di ricostruire la carriera
professionale di Giovanni Pilo
, schierato, nel corso della seconda guerra di mafia degli
anni ’80, dalla parte dei
Corleonesi. Questi, risultati vincenti, scelsero di farsi affiancare
anche da
costruttori edili per il controllo dell’urbanizzazione selvaggia e il conseguente avvio
di
progetti speculativi ai danni del capoluogo siciliano (cosiddetto sacco di Palermo).
Pilo, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Palermo-Resuttana, avrebbe finanziato le sue iniziative
imprenditoriali con
capitali illeciti traendo un vantaggio concorrenziale nello svolgimento della
sua attività grazie
all’appoggio della mafia, in quanto collettore degli interessi di Cosa nostra
nell’ambito delle attività imprenditoriali nel settore delle
costruzioni edili e immobiliari.
In tal senso, hanno reso dichiarazioni numerosi collaboratori: Francesco Onorato, Giovanni
Brusca, Angelo Siino, Antonino Avitabile, Giuseppe Marchese, Salvatore Cancemi, Calogero
Ganci, Giovan Battista Ferrante, Francesco Paolo Anzelmo.
Gli accertamenti svolti hanno, inoltre, disvelato una
netta sperequazione fra i redditi dichiarati
da Pilo rispetto agli acquisti effettuati e agli investimenti sostenuti per l’attività d’impresa.