«Noi non stiamo facendo nulla di male. Sono i Governi a infrangere la legge: possono passare tutte le elezioni del mondo, ma la legge del mare resta quella. Se c’è qualcuno da salvare, tu devi salvarlo. Non lo puoi scegliere, è un obbligo». Sulla Sea Watch 3 sono in corso i preparativi per la partenza dal porto di Catania. L’equipaggio lavora per sistemare le ultime cose, all’interno dell’infrastruttura arrivano le navi da guerra per una esercitazione militare e gli attivisti non sanno ancora quando potranno partire. Aspettano l’ultimo nullaosta dall’Olanda, lo Stato di bandiera, e dall’Italia che li ospita. È quasi ora di pranzo e dalla cucina, sottocoperta, viene il suono di una canzone tedesca: «È una vecchia canzone partigiana – spiegano i due componenti dell’equipaggio che preparano da mangiare – È una nonna che racconta la storia a sua nipote e le chiede: “Perché fate sempre gli stessi sbagli? Non avete imparato niente?” Mi viene la pelle d’oca tutte le volte che l’ascolto». «La presenza stessa della Sea Watch 3 al porto di Catania è resistenza», dichiara netta Haidi, olandese di nascita e mediatrice culturale, da sempre al lavoro con le organizzazioni non governative.
I componenti dell’equipaggio sono, per la maggior parte, giovani. Vengono dalla Germania, dall’Olanda, dal Belgio, dalla Gran Bretagna e, prima di imbarcarsi per soccorrere i migranti in mare, le loro vite erano diverse. Chi faceva la dottoressa in ospedale, chi il marinaio. «Ero sull’ultima imbarcazione di una ong arrivata in Italia senza problemi – racconta Dan, 34 anni, inglese – Siamo approdati il giorno dopo le elezioni e che le cose fossero cambiate era chiaro da subito». Così come per lui era chiaro che, prima o poi, un partito di destra anti-migranti avrebbe preso il potere anche nel nostro Paese: «L’Italia è stata lasciata da sola ad affrontare un problema troppo grande. Lo ha fatto meravigliosamente per tanto tempo, gli uomini della guardia costiera italiana sono stati dei veri eroi – prosegue – Però l’Europa non si è assunta le stesse responsabilità. In queste condizioni che il risentimento cresca è scontato. Le destre hanno una storia facile da vendere».
La nave, partita il 22 febbraio dal capoluogo etneo, arriverà a Marsiglia e lì si fermerà per qualche settimana, in un cantiere navale, per la manutenzione programmata. E non, com’è stato comunicato dalle autorità italiane, per sistemare i problemi di sicurezza emersi nel corso dei controlli di queste settimane. La Ong ha diffuso una nota con la quale denuncia le lungaggini sia dai Paesi Bassi sia dall’Italia, definendo il blocco «illegittimo». «Per 21 giorni le autorità italiane e olandesi hanno cercato ogni possibile pretesto per bloccare la nave in porto – si legge nel comunicato ufficiale – spostando l’attenzione su dettagli tecnici irrilevanti con l’evidente scopo di impedire la sua attività di soccorso in mare e cercando, in questo modo, di distogliere l’attenzione dalla tragedia che si svolge nel Mediterraneo centrale e in Libia, teatro di morte e abusi quotidiani». Gli stessi raccontati dalle centinaia di persone soccorse dopo i naufragi o in momenti di grave difficoltà.
«Ci dicono che siamo d’accordo con i trafficanti – conclude Haidi – perché troviamo i barconi e aiutiamo quelle persone. E che dovremmo dire, allora, delle centinaia di persone che non abbiamo trovato e che sono morte senza che se ne sappia nulla?». «I trafficanti – interviene Dan – restano al sicuro, in Libia, a contare i soldi. Molti migranti ci hanno raccontato che, quando sono sulla spiaggia, vengono loro mostrate delle luci e viene detto loro “Quella è l’Italia, è vicina”. Ma le luci sono quelle delle piattaforme petrolifere a poche centinaia di metri dalla costa. Quando scoprono quanta strada hanno fatto, rimangono sconvolti».
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