Mobilitazione di politici, sindacati, lavoratori e cittadini per dire no allo smantellamento del nosocomio catanese 'Vittorio Emanuele', dopo la fusione in un'unica azienda con il Policlinico Universitario dovuta alla riforma sanitaria. A rischio anche Ferrarotto e Santa Marta
Se nel quartiere chiude anche l’ospedale
Nessuna certezza e una situazione che trascina nella confusione e nel dubbio l’intero settore sanitario della città di Catania. Si può riassumere così la mattinata di venerdì 8 gennaio all’ospedale Vittorio Emanuele, durante la quale componenti del personale sanitario, decine di sigle sindacati e parte della cittadinanza del quartiere hanno occupato simbolicamente il giardino davanti al pronto soccorso. Motivo dell’occupazione l’annunciata chiusura del presidio ospedaliero di via Plebiscito, causata dalla sua fusione in un’unica azienda ospedaliera con il Policlinico Universitario, già avvenuta nel settembre scorso, per via della riforma sanitaria.
Per il più antico ospedale cittadino, situato nella zona sud di Catania e per anni motivo di vanto della città almeno quanto ad attività produttiva (nono in Italia e primo in Sicilia), è già iniziata una fase di chiusura e smembramento. Alcuni reparti, infatti, come la clinica ostetrica ginecologica e la chirurgia pediatrica, sono stati declassati, e altri, come l’ematologia e il centro trasfusionale, saranno trasferiti, probabilmente, al nuovo ospedale San Marco di Librino, che sarà pronto tra circa due anni. Stessa sorte toccherà alle divisioni del Ferrarotto e del Santa Marta. Ma ancora è tutto da decidere.
Il Vittorio Emanuele eroga annualmente 680 mila prestazioni ambulatoriali (prelievi, visite dermatologiche, visite odontoiatriche, etc.) oltre a numerosi ricoveri. Numeri che confermano l’importanza di questo presidio, come sottolinea anche il dottor Riccardo Spampinato, Segretario regionale del Coordinamento italiano medici ospedalieri (CIMO): “Chi ha un bisogno cronico e immediato di cure ha trovato in questa azienda ospedaliera una risposta. Basti pensare che nella provincia di Enna ci sono in totale quattro ospedali, più altri presidi nel territorio. L’intero complesso sanitario della provincia ennese eroga annualmente 850 mila prestazioni di ambulatorio. In proporzione, con il cessare dell’attività del Vittorio Emanuele, possiamo stimare che circa 125 mila abitanti perderanno l’ospedale di riferimento. In più il presidio, oltre ad aver fornito una presenza sanitaria, ha fatto crescere numerose attività nel quartiere: bar, negozi e l’intero sistema commerciale di questa zona sono nati e cresciuti grazie al potere d’attrazione di questo grande ospedale. Se chiudiamo il Vittorio Emanuele, non mettiamo il catenaccio solo all’ospedale, ma a tutto il commercio e tutte le attività che ruotano intorno a esso”.
La chiusura del presidio ospedaliero potrebbe quindi lasciare un enorme buco sul territorio e, ad oggi, le istituzioni non hanno dato alcuna risposta su come potrebbe essere riconvertita la struttura e su cosa potrebbe nascere al suo posto: “Noi ci preoccupiamo di sapere cosa offriremo in cambio a questi stessi cittadini – si scalda Spampinato – e questa, è una legittima preoccupazione civile, perché i residenti perderanno l’intero indotto. Siamo qui per la difesa del cittadino e perché amiamo Catania, cosa che i politici, a quanto pare, non fanno”.
“Crediamo fortemente che l’ospedale non debba chiudere. Almeno fino a quando non sia già operativo il San Marco – sostiene il Segretario regionale della UIL-FLP, Stefano Passarella -. Un accorpamento, in questo momento, tra il Policlinico e il Vittorio Emanuele, non porterebbe nulla di buono a nessuno: sia per i risultati importanti che il Vittorio raggiunge annualmente, sia perché reputo impensabile l’accentramento ospedaliero solo al Policlinico, situato nella zona nord della città. L’ospedale Garibaldi, da solo, non potrebbe più coprire, in caso di numerosi codici rossi, l’intera utenza senza l’appoggio di questo presidio. Inoltre i metodi di cura, tra il Policlinico e il Vittorio Emanuele, sono totalmente diversi: il primo, che conta circa 800 dipendenti, è incentrato nell’insegnamento e sulla didattica; il secondo, invece, ha una funzione molto più ospedaliera e rivolta alla cura del paziente, tanto da contare circa 2500 dipendenti, e un introito annuale molto più alto del Policlinico”.
Di certo la situazione non è per nulla chiara, ma i pericoli a cui si va incontro, invece, risultano cristallini: dal sovraffollamento delle strutture esistenti, all’aumento delle già lunghe file d’attesa, alla reale possibilità di un aumento di casi di malasanità dovuti, stavolta, non al personale medico ma a come esso viene messo in condizione di lavorare.
Nei panni di neo-oppositori del Governo Lombardo alcuni rappresentanti del Pdl presenti alla mobilitazione. Salvo Cattaneo, consigliere della prima municipalità e il Presidente della Provincia etnea (nonché co-coordinatore regionale del Partito Giuseppe Castiglione), che, invita a un confronto la giunta regionale e l’Assessore alla Sanità Russo: “Si naviga a vista con una riforma inattuata e, nel caso del Vittorio Emanuele, un ospedale senza un direttore generale”. Mentre si discute di cariche e poltrone, gli abitanti del popoloso quartiere fanno i conti con un’assistenza sanitaria precaria e con lo spettro della completa chiusura del presidio.