Se il web è gay friendly

Pubblico sparuto – perché «è il solito rischio che si corre a voler fare cultura», secondo Dario Accolla, blogger e attivista per i diritti GLBT, tra i relatori presenti martedì sera al Neva Caffè – ma incontro-dibattito interessante quello su omosessualità e nuovi media organizzato dall’associazione KèCatania, in vista della parata del Gay Pride di sabato 4 luglio.

 
Tabù e reticenze, paure ed angosce accompagnano – ancora – il percorso di quegli adolescenti, e non solo, che si sentono diversi. «Ma la sessualità è sempre una diversità e l’omosessualità non è la sola», spiega Giovanni Gallo, docente di Informatica presso l’Università di Catania, che continua, raccontando: «Feci coming out anche tramite internet. Ho avuto la fortuna di trovarmi negli Stati Uniti per il dottorato quando il web era appena nato. Cominciai a partecipare ad uno dei pochi gruppi online dedicati alla socialità, e usai il mio vero nome. Poco tempo dopo, mi arrivò una e-mail: un mio collega di Catania, in America pure lui, mi diceva che aveva letto di me in rete, e che, vedi il caso, era gay. Avevamo lavorato fianco a fianco, in una realtà piccola come quella universitaria catanese, eppure non sapevamo quasi nulla l’uno dell’altro».

Internet rompe i silenzi, crea delle crepe nel muro d’isolamento che la società (quella stessa che tanto facilmente parla di tensione verso il futuro, di innovazione, di apertura mentale e abbattimento delle frontiere) costruisce attorno a chi si dichiara gay.

«Prendiamo l’ambiente scolastico…» inizia Cirus Rinaldi, ordinario di Sociologia presso l’Ateneo di Palermo, «Secondo alcuni studi, gli studenti – che dovrebbero sentirsi sicuri nelle aule come da nessun’altra parte – si sentono dire fino a sette volte al giorno parole come “frocio” o “culattone”. Si insultano a vicenda così, e lo reputano normale, divertente, simpatico. Sono un sociologo e, per le mie ricerche, mi devo basare su dati empirici: ho chiesto alle istituzioni competenti, di darmi i dati sull’omosessualità in una città come Palermo. Sapete che mi hanno risposto? Non hanno dati. Non ci sono omosessuali, a Palermo, secondo le istituzioni. Un vuoto d’informazione diventa un’assenza di fatto. Tanto semplice, e tanto superficiale».

E sono probabilmente le istituzioni, con i loro non-provvedimenti, a lasciare l’amaro in bocca più d’ogni altra cosa.

«La famosissima legge sullo stalking», continua il prof. Rinaldi «non tutela i gay. In Italia non sono nemmeno riconosciuti gli hate crimes su base di discriminazione sessuale».

La rete, con la sua capacità d’aggregazione, riflette un’esigenza di protezione e di comunicazione, un bisogno di dire e di parlare, laddove attorno è silenzio. Un silenzio che viene anche dai media convenzionali, da stampa, radio e televisioni…

«Vi devo ricordare che furono i blog a spiegare cos’erano i Dico? I tg titolavano “ecco il matrimonio gay” o “come si distrugge la famiglia”, eppure non c’era nulla di vero», sostiene Dario. «Il mio blog e quelli di migliaia di altre persone fanno informazione libera, e il potere s’è reso conto della nostra importanza. Che sia per questo che tentano di tapparci la bocca?».

Eppure lui, cinque anni fa, quando ha aperto il suo blog, non l’ha fatto per dare notizie o diffondere comunicati, non l’ha fatto quale militante GLBT. L’ha fatto come uomo, innamorato e deluso, che ha voglia di raccontare la sua storia nell’anonimato, salvo capire in seguito che un diario poteva anche parlare di politica in un momento in cui la propaganda elettorale del centrosinistra urlava a gran voce che si sarebbero fatti i pacs, per poi rimangiarsi tutto dopo l’elezione e scusarsi affermando di non essere stati al governo abbastanza a lungo per fare qualcosa di concreto.

Eppure, finché si è sul web, con lo schermo di un computer davanti, certe cose è quasi facile farle ed affermarle.

Ma come uscire dal mondo online?

 «Perché non fare come AddioPizzo?» suggerisce provocatoriamente il prof. Rinaldi, «Creiamo una rete di negozi gay dove acquistare e vendere, come i commercianti pizzo free. Immaginiamo un bollino in vetrina: “questo esercizio commerciale è gay”». Ma anche “amico degli etero”, per non discriminare nessuno.
 
Però a Catania, a ben vedere, qualcosa del genere c’è già. Lungo il percorso del Pride del 4 luglio, a tutti i commercianti è stato somministrato un questionario sull’omofobia. Quelli che l’omofobia, in base alle loro risposte, non la conoscono nemmeno da lontano si sono guadagnati un adesivo col simbolo del Sicilia Pride: è la nostra isola dipinta coi colori dell’arcobaleno. E’ luminosa, allegra e, fortunatamente, gay friendly.


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