Non è stata una vera e propria resa dei conti, ma poco ci è mancato. Comunque non si fanno attendere le conseguenze dopo l’ultima riunione dell’Assemblea regionale siciliana, la prima al cospetto di Nello Musumeci dopo la votazione per i delegati siciliani del 12 gennaio, vissuta come un’onta dal presidente della Regione. Un dibattito acceso, ma nei limiti del rispetto istituzionale, con Musumeci che prima presenta la road map da seguire nei prossimi sette mesi – tra scadenze legate alla Finanziaria e Pnrr – ascolta gli interventi dei deputati di tutto l’arco parlamentare e replica con toni raramente così sommessi. Questo almeno prima dei tiratissimi dieci minuti finali, in cui è venuta a galla con prepotenza tutta la fragilità della maggioranza e in cui una parte di Forza Italia, con in testa gli assessori della giunta di governo, ha finito col prendere le distanze dalle parole di Gianfranco Miccichè, appoggiando l’azione di Musumeci e di fatto scoprendo una pesante distanza interna al partito di Silvio Berlusconi.
Chi si aspettava un Musumeci rampante come nella diretta Facebook del 12 gennaio è rimasto deluso. Nel suo primo intervento, il presidente ha parlato solo delle priorità del governo, facendo qualche vago riferimento alle questioni politiche e tirando in ballo appena la questione della sua ricandidatura, «che verrà discussa nelle sedi opportune, non qui». Com’è ovvio non sono mancate le polemiche con l’opposizione che prima ha lamentato il poco tempo concesso per gli interventi, dieci minuti complessivi per ogni gruppo parlamentare e trenta in totale, considerando anche il gruppo misto. Pronti via, partono gli interventi e non mancano le critiche, da Danilo Lo Giudice (Sicilia Vera), che parla di «una crisi di governo in cui il presidente della Regione ha fatto tutto da solo» e spende parole di elogio nei confronti del presidente dell’Assemblea Gianfranco Miccichè che, secondo il deputato, «non avesse spento i vari focolai all’interno della maggioranza, lei (Musumeci ndr) tra i delegati non sarebbe arrivato terzo, ma sarebbe stato assente»; a Claudio Fava (Cento passi), che ha paragonato il presidente della Regione al Conte zio dei Promessi Sposi con il suo «sopire, troncare, troncare, sopire» per parlare d’altro di fronte alle questioni spinose.
Va meno per il sottile il cinquestelle Nuccio Di Paola che dal governatore si sarebbe aspettato «delle scuse o delle dimissioni», così come Anthony Barbagallo (capogruppo Pd) che parla di «un’esperienza di governo iniziata male e finita peggio, con scissioni e campagne acquisiti in Aula mai viste prima». Da par suo la maggioranza non attacca, ma non risparmia le critiche. Non le risparmia il leghista Antonio Catalfamo, secondo cui «nelle scorse settimane sono stati commessi degli errori, su tutti quello di sottovalutare l’importanza del valore dell’unità perché siamo vicino a scadenze che ci portano a inquinare i lavori d’Aula come spesso accade con l’avvicinarsi di appuntamenti elettorali. Cerchiamo fino alla fine di scindere le questioni personali da quello che è il lavoro da fare». Non le risparmia nemmeno l’autonomista Totò Lentini che rivolgendosi al presidente dice: «Ci sono state delle offese che hanno dato un segnale negativo nei confronti dei deputati. La ringrazio per i suoi toni concilianti di oggi, la vedo finalmente una persona riposata e tranquilla».
E mentre per Alessandro Aricò (Diventerà bellissima) non c’è nessuna crisi e per la capogruppo di Fratelli d’Italia Elvira Amata che, nonostante qualche lamentela sull’abbandono al proprio destino di alcuni deputati, confeziona un aforisma del Dalai Lama adattato sulla figura di Musumeci, invitato a «coltivare l’arte della pazienza», con la garanzia che «Fratelli d’Italia sarà al suo fianco», il vero crack avviene dopo l’ultimo intervento, quello del capogruppo forzista Tommaso Calderone che prima ribadisce le ragioni per cui chiede la rimozione di Tuccio D’Urso – nominato da Musumeci soggetto attuatore per l’emergenza Covid – e poi prende spunto dal passaggio sulla ricandidatura accennata dal governatore per attaccare: «Il patto stipulato con la coalizione del centrodestra non è mai stato tradito ma non prevedeva il rinnovo né tacito né espresso, questo lo discuteremo al momento opportuno. Certamente in questo non ci faremo condizionare da notai romani».
Nella sua replica, Musumeci appare ancora conciliante e riconosce «che uno dei più grandi errori è stato non parlare con i deputati. Nella mia visione assurda e surreale della politica non era giusto che il presidente dialogasse direttamente con i deputati, ma che il filtro passasse attraverso i partiti e gli assessori. Questo vale per la maggioranza e per l’opposizione, che è stata anche garbata. Per me la crisi non c’è – ribadisce – Mi sono scusato per le parole andate oltre la mia volontà e questo lo fanno le persone coraggiose e perbene. Ho tanti difetti ma quest’aula può dire ad alta voce che questo presidente, come tanti altri prima di me, è una persona perbene. Se sono inadeguato o inadatto – aggiunge Musumeci – lo diranno i siciliani ma questa squadra di governo ha fatto quello che si poteva fare in una condizione di estrema difficoltà».
Poi però arriva la risposta a Calderone. «Sulla lealtà di Forza Italia e di altri partiti non ho mai avanzato dubbi – dice Musumeci – Non ho voluto che ci fosse gente dietro la mia porta. Se lei qualche volta si fosse trovato nei Comuni dove io ero in visita ufficiale e dove è stato invitato, avrebbe notato quanto rispetto abbia riservato a tutti i parlamentari. Lei purtroppo non l’ha fatto, avrà avuto altri impegni». Intanto, lontano dai microfoni, il capogruppo di Forza Italia tenta senza successo di intervenire per smentire il presidente, cosa che pochi istanti dopo farà al suo posto Gianfranco Miccichè. «Abbiamo fatto un dibattito sereno, ma glielo devo dire – dice il presidente dell’Ars rivolgendosi al governatore – alcune cose della sua replica non mi sono particolarmente gradite. Alcuni interventi sono stati nei confronti dei parlamentari non sempre identici. Non sempre quello che lei ha detto corrisponde alla realtà dei fatti: diversi parlamentari sono rimasti delusi da suoi comportamenti iniqui». Parole a cui ha fatto seguito la decisione di mantenere nell’ordine del giorno di domani dell’Ars la mozione contro D’Urso e quella presentata da Pd e M5s sul Pnrr, anche se la discussione del Piano è stata rimandata per volontà del governo alla prossima settimana.
Una scelta che viene presa come un gesto di sfida dal governo, con il vicepresidente e assessore al Bilancio Gaetano Armao che nei corridoi del palazzo dice ai giornalisti: «Facciano pure, ma io domani non ci sarò, lo avevo già annunciato». Questo prima di chiudersi insieme agli altri due assessori forzisti e altri compagni di partito nella stanza del presidente della commissione Bilancio. Stanza dalla quale poco dopo uscirà un comunicato stampa che invita all’unità, ma che di fatto divide. «L’evolversi del quadro politico in Sicilia ci consegna l’esigenza di porre un deciso freno alle polemiche delle ultime settimane – si legge nella nota – La road map politico-amministrativa, tracciata oggi in Aula dal presidente Musumeci, impone a tutti noi di fare uno scatto in avanti a difesa degli interessi della Sicilia, delle famiglie e delle imprese. Tali iniziative strategiche devono essere affrontate con responsabilità, anteponendo le ragioni del bene comune ai personalismi e ai risentimenti». Parole concilianti, se non fosse che a firmarle sono «i deputati Ars di Forza Italia Riccardo Gallo, vicecoordinatore regionale FI, Riccardo Savona, Margherita La Rocca Ruvolo, Alfio Papale, Stefano Pellegrino e gli assessori regionali Gaetano Armao, Marco Falcone e Marco Zambuto». Un elenco in cui mancano i nomi di altri sette deputati del partito di Berlusconi, tra cui appunto quello di Calderone e del presidente Miccichè, nei confronti del quale la nota suona come una presa di distanze.
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