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Lo scioglimento per mafia di Randazzo. Tra parentele e immobilismo, Comune «in stato confusionale»

«Un tessuto relazionale e parentale degli amministratori e dei dipendenti comunali con soggetti gravati da condanne per associazione mafiosa, stretti rapporti personali dai quali è deducibile un quadro di condizionamento dell’ente da parte della locale criminalità organizzata». Questo il punto di partenza della relazione prefettizia che ha portato Randazzo, in provincia di Catania, a essere il primo Comune sciolto per mafia nel 2024. Cinque pagine in cui vengono messe nero su bianco presunte connivenze, silenzi, immobilismo e aneddoti che rimandano in parte anche all’inchiesta Terra bruciata contro il clan Laudani. Fascicolo in cui si ipotizzava il reato di scambio elettorale politico mafioso per l’ormai ex sindaco autonomista Francesco Sgroi e per l’allora presidente del Consiglio comunale Carmelo Tindaro Scalisi. La posizione di entrambi è stata archiviata dal giudice per le indagini preliminari a marzo dello scorso anno. Un passaggio giudiziario che, per la prefettura, non cancellerebbe comunque quanto evidenziato dalle indagini riguardo a un quadro di condizionamento del municipio da parte della mafia. Tra le contestazioni c’è anche la gestione finanziaria – in cui è emersa la morosità nei confronti dell’ente anche di alcuni amministratori pubblici -, le politiche, ritenute troppo morbide, sull’abusivismo edilizio e quelle sulla gestione dei beni tolti alla mafia.

L’ex sindaco, che alle ultime Regionali si è candidato senza centrare l’elezione all’Assemblea regionale siciliana, avrebbe «una personale vicinanza, nonché uno stretto e continuo legame, assai risalente nel tempo e ancora attuale, con soggetti contigui ad ambienti malavitosi, oltre a frequentazioni con pregiudicati della zona alcuni dei quali accusati di mafia», si legge nel documento. E sarebbe stato proprio un esponente di vertice della locale consorteria mafiosa a intervenire in prima persona, insieme ad altri, durante una violenta aggressione armata ai danni di un uomo. Dietro i fatti, secondo gli inquirenti, ci sarebbe stato un furto subito da Sgroi all’interno della propria abitazione. Il pregiudicato in questione, si evidenzia nella relazione, in più occasioni avrebbe dichiarato di avere una fraterna amicizia con l’ex sindaco, rivelando anche, nonostante non si sia mai arrivati a una condanna per questo, di avere fatto in suo favore campagna elettorale durante le elezioni comunali del 2013 e del 2018.

Rapporti e frequentazioni che avrebbero riguardato anche un ex assessore e titolare di alcune imprese che hanno ottenuto dei lavori all’interno del cimitero comunale di Randazzo. In queste società avrebbe lavorato uno stretto parente di un pregiudicato per mafia coinvolto nell’operazione Terra mia. Il giorno in cui l’uomo si è costituito alle forze dell’ordine ad accompagnarlo in carcere sarebbe stato proprio l’allora amministratore pubblico, mettendo a disposizione la propria macchina. L’ente, inoltre, avrebbe utilizzato in maniera «artificiosa» le procedure di somma urgenza per l’affidamento dei lavori, favorendo anche ditte ritenute vicine alla criminalità organizzata.

Il Comune di Randazzo, secondo i commissari prefettizi, verserebbe in uno «stato confusionale e di sostanziale illegalità amministrativa», si legge nella relazione. Nella cittadine medievale ci sarebbe stata anche «una totale assenza delle cautele antimafia». Riferimento, quest’ultimo, al fatto che l’ente avrebbe avuto l’accesso alla banca dati nazionale antimafia soltanto da novembre 2022. Tra i casi emersi quello di un terreno confiscato in via definitiva al boss Francesco Rosta, che sarebbe rimasto nella disponibilità del figlio Giuseppe, legato sentimentalmente alla consigliera comunale di minoranza Cristina Gullotto. A Randazzo l’azione amministrativa sarebbe stata inefficiente anche in relazione alla grave situazione finanziaria, con l’ente dichiarato in dissesto. Un quadro economico a cui, secondo la prefettura, non si è provato a mettere dei correttivi. Scelta, quest’ultima, che potrebbe essere stata «strumentale e giustificativa per la successiva alienazione di terreni di proprietà comunale a favore di famiglie mafiose». Al Comune, inoltre, non avrebbero avuto la reale conoscenza del patrimonio pubblico. L’elenco consegnato ai commissari era infatti composto da 238 beni a fronte degli oltre 1700 accertati dalla prefettura con il contributo dell’Agenzia delle entrate. Tra quelli non dichiarati ci sarebbero stati anche dei terreni che poi si è scoperto erano stati dati in concessione, o erano in uso, a persone che gravitano nel contesto criminale della zona. Il municipio sarebbe rimasto immobile anche per quanto riguarda un abuso edilizio, perpetrato da un amministratore locale, all’interno di un terreno confiscato alla mafia, che non è stato assegnato dal Comune. Davanti alle sollecitazioni di alcune associazioni locali, l’ente avrebbe giustificato la propria posizione sottolineando la distanza dal centro cittadino. Una lontananza, poi accertata dall’organo ispettivo, di 800 metri dal municipio. Un capitolo a parte è quello che riguarda gli alloggi popolari, alcuni dei quali si è scoperto essere in uso, senza titolo, a persone legate alla mafia locale. Dagli uffici, segnalano i commissari, ci sarebbero state anche delle difficoltà nel fornire gli elenchi degli assegnatari. Documenti poi bollati come incompleti e non corrispondenti alla realtà dei fatti.


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