Prima proiezione pubblica lunedì alla Feltrinelli per My Hometown, il documentario di Marco Pirrello sulla Catania del rock. Davanti a un numerosissimo pubblico, si è parlato degli anni d'oro della musica catanese, ma anche di presente e futuro: perché è sempre bene dare una possibilità a chi ha talento e passione
Scatti di musica in libertà
“Date una chance a qualcuno e troverete una risposta”. Questo uno dei motivi che hanno animato la proiezione del DVD My Hometown Catania di Marco Pirrello, che verte sulla musica rock catanese dagli anni ’80 ad oggi. Un DVD prodotto da UPress e presentato lunedì pomeriggio alla Feltrinelli di Catania per la sua prima proiezione pubblica. All’incontro, oltre al giovane autore, erano presenti Rosa Maria Di Natale, giornalista e coordinatrice del progetto, Roberto Milone, critico musicale ed esperto di rock, Davide Pappalardo, sceneggiatore e regista, e Gregorio Scuto, chitarra e voce dei Crabs, una delle band raccontate da Pirrello nel documentario insieme a Narayan, Introversia e Dossi Artificiali.
“Quando nasce la Catania del rock”? È la domanda da cui parte Roberto Milone: “C’è una data precisa. A Bologna nel 1982 si svolge un festival rock durante il quale si esibisce una band catanese, i Denovo, che pubblica un disco dal titolo Niente Insetti su Wilma. A questo punto si apre una breccia in cui dozzine di gruppi si inseriscono. Negli anni ’60 la West Coast era il punto di aggregazione della musica in USA; allo stesso modo, negli anni ’80, Catania era un riferimento. Il mito che vede Catania come la Seattle d’Italia – prosegue Milone – si deve proprio ai Denovo, con quel loro stile molto inglese ma anche molto italiano, ma anche ai Boppin’ Kids o agli Uzeda, a cui persino la prestigiosa rivista americana Billboard nel 1992 dedicò un suo articolo, ai Lautari, e a molti altri gruppi”.
Nel racconto di Milone sugli anni della raggiante Catania, non poteva mancare il ricordo di Francesco Virlinzi, che “negli anni ’90 è stato la punta dell’iceberg. Sotto la sua ala, vengono alla luce artisti come Kaballà, o Carmen Consoli che rappresenta l’aspetto della musica Made in Catania”. C’è spazio anche per un piccolo viaggio indietro nel tempo, con un accenno agli anni ’70 di Franco Battiato. Milone conclude il suo intervento con una speranza per i giovani musicisti catanesi: “Date una chance a qualcuno e troverete la risposta: su cento persone, dieci diventeranno grandi e uno sarà fuoriclasse: così accade in qualsiasi posto”.
“Il lavoro di Marco – ha poi osservato Davide Pappalardo – non è un documentario che restituisce una storia completa, ma un excursus su cosa erano i gruppi negli anni ’90 e su chi, oggi, prova a fare musica in un contesto cambiato”. Secondo il regista catanese, degli anni ’90 si ricorda solo la parte più visibile: “ma ad essere straordinari – spiega – non erano solo quelle band che riuscirono, ma la vibrazione che investiva non solo chi faceva musica ma perfino chi non suonava. Era qualcosa che girando per la città era chiaramente avvertibile. La città era cambiata è c’era una sorta di ottimismo condiviso”.
“Al di là di quella che era la cavalleria – continua Pappalardo – c’era la fanteria con i ragazzi, o c’era tanta gente che scriveva. C’erano, ad esempio, i cyberpunk, e c’era la voglia di fare come a San Francisco negli anni ’60”. Ripensanso ai grandi concerti che hanno visto Catania come scenario, il regista ricorda che “oltre a quello dei R.E.M., ci sono stati anche i Sonic Youth, o i Blonde Readhead». Ma perché è importante così ricordare i tempi d’oro? “Perché è giusto, perché non si deve guardare solo a tutte le brutture che abbiamo e fare in modo che domani si possa andare in giro e sentire la nuova Carmen Consoli, o i nuovi Uzeda”.
Gregorio Scuto ha parlato invece della sua esperienza da protagonista, insieme alla sua band, di My Hometown Catania, condividendo con il pubblico le sue impressioni sul documentario. “Quello fatto da Marco è un lavoro fantastico – esordisce –. E non vuole essere una storia della musica catanese». Scuto, piuttosto, sottolinea la naturalezza con cui il Dvd racconta la città che suona: «Durante le riprese, Marco ci ha messo nelle condizioni di parlare con disinvoltura. Io mi sono rivisto oggi e ho notato il mio accento catanese, di cui sono molto contento”. Da musicista che la musica nella città etnea continua a farla, Scuto basa il suo intervento sulla parola «ottimismo». “Vengo dagli anni ’60 e ho 60 anni – racconta – e la differenza tra prima e adesso è che allora credevamo a tutto, si poteva fare qualsiasi cosa. Credevamo di avere un sogno, una possibilità. Il merito che riconosco a me stesso è di essermi svegliato prima. Ma la musica rimarrà sempre legata allo stesso concetto di libertà”.
Rosa Maria Di Natale, da coordinatrice del progetto, ha introdotto le ragioni che hanno portato alla realizzazione di My Hometown. “Marco ha 25 anni, ha una esperienza da studente/redattore a Step1, testata dentro cui è nato il laboratorio di Inchieste e Video giornalismo da me curato. Con il videogiornalismo, il giornalista fa a meno del cameraman e imbraccia lui stesso la telecamera. Inizialmente eravamo partiti da un tema più giornalistico, ma Marco ha voluto fortemente sviluppare questo argomento sotto forma di documentario perché vive in prima persona il mondo che ha scelto di raccontare”. In conclusione, una precisazione che è anche un augurio: “Quello di Marco non è un lavoro enciclopedico o storico, ma scatta una fotografia in libertà di come alcuni gruppi vivono la loro esperienza a Catania. Gli auguro, però, di potere realizzare un giorno un progetto ancora più completo e ambizioso”.
A chiudere il dibattito l’autore Marco Pirrello, che ha raccontato la sua esperienza da film maker a contatto con l’universo musicale della sua città. “La scelta dei gruppi – ha spiegato – non vuole rappresentare una sorta di dipinto della musica catanese di oggi: ci sono molti altri gruppi che non ho raccontato – precisa – ma io ho voluto soprattutto creare un punto di contatto tra le band che hanno vissuto i decenni passati e quelle che sognano di viverne altri”. Il giovane regista conclude infine il suo racconto concentrandosi sulla passione che ci vuole per raggiungere i propri obbiettivi. “È bello vedere che c’è tanta gente che continua a fare musica anche se non ci campa, anche avendo un altro lavoro per mantenersi”. Se c’è la passione, dunque, non bisogna mai rinunciare ai propri sogni. Ed è il caso di ricordare che gli incassi della vendita di My Hometown saranno impiegati a sostegno del giornalismo universitario, tramite l’associazione Upress (che sostiene Step1 e Radio Zammù). Il DVD può essere acquistato, a € 9,50, nelle migliori librerie catanesi, o direttamente online tramite il sito di Upress.